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Comandano loro: “Parco giochi chiuso causa Zingari”

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Per una decina di giorni è stato chiuso «per il problema zingari». Da due giorni – per correttezza politica – il cartello sul cancello del parco giochi nei pressi della basilica di Classe è cambiato, ma la sostanza non cambia, il parco è ancora inaccessibile: «Rimarrà chiuso momentaneamente».

Non si placano le polemiche nella frazione ravennate: da alcuni mesi alcuni nomadi si sono installati nel parcheggio dove fanno sosta i pullman e gli autobus dei visitatori a Sant’Apollinare in Classe e i residenti in zona hanno cominciato a lamentare la difficile convivenza segnalando disagi. L’ultimo quello raccontato dal cartello nella foto: il parco giochi di via Ferrari non è più accessibile con un cartello di spiegazioni che lasciava poco spazio alle interpretazione poi trasformato in uno più politicamente corretto. Non è l’unico parco giochi di Classe ma era uno dei più frequentati e comincia a montare la rabbia di chi vede uno spazio verde attrezzato chiuso. Il cartello è comparso dopo che, secondo quanto si è potuto apprendere dagli abitanti della zona, alcuni giochi sarebbero stati danneggiati e nell’area del parco sono stati abbandonati escrementi e rifiuti. Episodi di cui, a giudicare dal cartello, la direzione del parco giudica responsabili i nomadi.
All’inizio di agosto era stato già il consigliere territoriale di Lista per Ravenna, Angelo Di Felice, a denunciare la presenza di un insediamento nomade a Classe, nell’area vicino alle scuole e alla basilica. Di Felice in una interrogazione rivolta al sindaco chiedeva se l’amministrazione fosse al corrente del fatto che si sia insediato «un campo nomadi, con conseguenti disagi per residenti e turisti».

http://www.ravennaedintorni.it/ravenna-notizie/39212/parco-chiuso-per-problema-zingaridopo-dieci-giorni-il-cartello-cambia.html

Stupratore marocchino scompare dopo scarcerazione: vittima chiede danni allo Stato

PORDENONE 04 luglio 2013 – Violentata la sera di San Valentino a un distributore di benzina di Pordenone. Era il 2005. Il suo aggressore ha già scontato la condanna: i 10 anni inflitti dal Tribunale sono diventati 7 anni e 4 mesi grazie allo “sconto” di pena ottenuto in Corte d’Appello. Adil Hrizi, marocchino di 33 anni all’epoca residente a Pravisdomini (Pordenone), è sparito non appena si è lasciato alle spalle il cancello del carcere.

Inutile ogni tentativo di rintraccio fatto dall’avvocato Alberto Fenos.
 Questo significa che per la vittima è sfumata la possibilità di ottenere il risarcimento di 200mila euro stabilito dai giudici. C’è, tuttavia, una possibilità. Il legale, infatti, ha promosso un’azione contro la Presidenza del Consiglio dei ministri per ottenere quanto spetta alla giovane pordenonese a cui l’aggressore ha stravolto la vita.

Il ricorso sarà discusso dalla sezione civile del Tribunale di Trieste, perchè in questi casi la competenza si radica presso la sede dell’avvocatura dello Stato. All’avv. Fenos, forte di un caso simile accaduto a Torino e del conseguente pronunciamento della Corte d’Appello, non è rimasto che citare la presidenza del Consiglio dei ministri puntando sul fatto che il nostro Governo è inottemperante alla direttiva comunitaria che impone allo Stato italiano di istituire un fondo di solidarietà per le vittime di un reato intenzionale violento che non hanno la possibilità di ottenere un risarcimento perchè il responsabile – in questo caso il trentatreenne nordafricano – è sfuggito alle richieste risarcitorie.

Nel suo ricorso l’avvocato Fenos ricorda che la sua assistita è stata vittima di «un feroce abuso sessuale subito da uno sbandato, ubriaco, senza lavoro, oggi di fatto irreperibile». Che la giovane donna ha pagato duramente per la violenza subita: tre anni di psicoterapia ci sono voluti per tornare lentamente alla normalità, intrattenere nuovamente relazioni personali, affettive e sentimentali, per non temere il buio e i contatti con altre persone. L’impossibilià di essere risarcita per quanto patito l’ha ulteriormente mortificata ed è per questo che allo Stato vengono ora chiesti danni per 250mila euro.

La vicenda sconvolse la provincia di Pordenone. La ragazza aveva 24 anni e si fermò in un distributore di benzina di viale Venezia per fare il pieno. Il suo aggressore, arrivato a bordo di una macchina rubata, la violentò e la rapinò dell’auto. Fu successivamente catturato dai carabinieri dopo un inseguimento. Era a bordo di un’altra auto rubata.

http://www.gazzettino.it/nordest/pordenone/lo_stupratore_esce_dal_carcere_e_non_paga_la_vittima_chiede_i_danni_allo_stato/notizie/300264.shtml

«Mamma, esco un attimo»: non tornerà più, è l’integrazione

MILANO – Aveva detto alla madre: «Scendo al bar che ha appena aperto perché non riesco a dormire». Non tornerà più a casa.
Lui ha 40 anni, è uno dei tanti disoccupati dell’Italia di oggi, così matrigna con i suoi figli e così accogliente con i figli degli altri. Abita con la madre anziana e vedova. Uscito di casa trova Mada Kabobo, ghanese di 31 anni, clandestino e con precedenti penali lunghi un kilometro, magari soccorso a Lampedusa di dipendenti statali della guardia costiera. La sua vita finisce lì. Il protetto di Boldrini lo colpisce alla testa, più di una volta, per infierire quando lo vede svenuto al suolo.

Prima di lui, il “migrante” aveva già preso a picconate tre persone in altrettanti punti del quartiere Niguarda, zona nord di Milano.

«Un ragazzo tranquillo, silenzioso. Non aveva mai fatto del male al nessuno, era l’esatto contrario di un attaccabrighe». Poi ha incontrato il “migrante”.

Ma il ghanese cerca altri italiani da ammazzare. Così in via Monterotondo trova un ragazzo di 21 anni, appena rientrato in casa dopo una notte di lavoro in giro per rifornire edicole, che alla vista del piccone insanguinato tenta di fuggire ma viene a sua volta colpito alla testa, più di una volta. Con sempre più accanimento, fino a perdere materia cerebrale. Ora è in ospedale, le sue condizioni sono gravissime.

E’ l’integrazione.

http://voxnews.info/2013/05/11/mamma-esco-un-attimo-non-tornera-piu-e-lintegrazione/

L’autopsia: «Un solo colpo al cuore scagliato con violenza dal Peruviano»

La coltellata ha rotto pure una costola. Il figlio intanto si avvale della facoltà di non rispondere
L’interrogatorio andato in scena ieri mattina al Bassone, è durato giusto qualche minuto.
Il tempo necessario all’indagato per dire al giudice delle indagini preliminari, Nicoletta Cremona, che si avvaleva della facoltà di non rispondere. Nessuna sorpresa, dunque, nel faccia a faccia tra il magistrato e il Eder Jhonny Cutipa Dominguez, 29 anni, accusato dell’omicidio del padre andato in scena nella notte tra giovedì e venerdì scorso a Lurago Marinone. Questa soluzione era già stata anticipata dagli avvocati dell’uomo, padre di un bambino di appena tre anni. «Non è in condizione di sostenere un interrogatorio, piange in continuazione», avevano rivelato i legali Renato Papa e Stefano Legnani.
Ed in effetti, anche ieri di fronte al giudice Eder non sarebbe riuscito a trattenere le lacrime per un omicidio che, dice, non voleva commettere.
In cella, ha in compenso parlato con i suoi avvocati, chiedendo informazioni sulla famiglia, sulla compagna, sulla madre e, come detto, soprattutto il figlio piccolo. Il gip di Como, accogliendo le richieste del pubblico ministero Simona De Salvo, ha convalidato l’arresto e disposto la permanenza in carcere. Un delitto terribile, con un solo colpo di coltello al cuore, come confermato dai risultati dell’autopsia effettuata dall’anatomopatologo del Sant’Anna Giovanni Scola.
Il colpo è stato inferto con una tale violenza che ha rotto pure una costola. Padre e figlio avevano trascorso la giornata a Milano, per prendere il biglietto aereo per Lima che avrebbe riportato in patria Venancio Jhony Ramirez Dominquez, 50 anni, arrivato in Italia un anno fa per cercare di riappacificarsi con il figlio e conoscere il nipotino. Prima di rientrare a Lurago Marinone, il brindisi d’addio in un bar del capoluogo meneghino, forse con qualche bicchiere di troppo. Poi il ritorno nella Bassa Comasca e il litigio che esplode improvviso. Una furibonda lite scoppiata pare per ruggini antiche, legate a quando ancora la famiglia – 20 anni fa – viveva in Perù. Tensioni e botte alla moglie (la madre di Eder), che portarono alla separazione della coppia e alla partenza della madre (con i due figli) per l’Italia. Era infatti da ben 17 anni che Eder, con la sorella e la mamma, vive nella nostra Penisola, ben inseriti nel tessuto sociale di Lurago Marinone. Poi, come detto, un anno fa il padre era arrivato anche lui in Italia per conoscere il nipotino.
Quello stesso piccolo portato fuori di casa e di corsa dalla convivente di Eder, prima che quest’ultimo infliggesse il colpo fatale al padre.