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Brutale aggressione razzista: escono dalla moschea e lo massacrano di botte

Integrazione obbligata

Integrazione obbligata

VENEZIA – Un condominio in centro a Meolo, nel Veneziano. Un appartamento di proprietà da dieci anni. A due chilometri dal posto di lavoro. Mai un problema. Fino a un paio di anni fa. Quando al piano terra, nel locale accanto a una macelleria etnica, si è insediato un centro di cultura islamica. «Dovrebbe essere la sede di un’associazione, invece è stata trasformata in una sala di preghiera, frequentata quotidianamente da una trentina di bengalesi che si ritrovano anche di notte e che, nel recitare le loro preghiere, non si preoccupano per nulla se recano disturbo ai residenti». A parlare è Fabio, 34 anni, operaio, che vive proprio sopra la “moschea” con la moglie e il figlioletto di appena sette mesi.

«In questo palazzo ci sono altri inquilini asiatici, alcuni di fede musulmana con i quali la convivenza è civile e tranquilla e che come noi hanno più volte chiesto ai connazionali di rispettare le esigenze degli altri specie nelle ore notturne. Io faccio i turni e non riesco a dormire per le loro lunghissime implorazioni espresse a voce alta. Giovedì scorso, esasperato dalla situazione, alle quattro e mezza di notte sono andato giù e ho detto loro di smetterla, che dovevano finirla». E sarebbe questo episodio, secondo Fabio, che avrebbe motivato la “spedizione punitiva” di cui è stato vittima la sera successiva.

«Era mezzanotte e mezza e come al solito sono sceso con la cagnolina a gettare l’immondizia. A un certo punto mi sono sentito afferrare alle spalle. Erano in tre e hanno tentato di immobilizzarmi dandomi calci e pugni mentre mi gridavanoTu non devi rompere le scatole alla moschea hai capito?“. Non so come ma sono riuscito a divincolarmi e fuggire. Adesso, dico la verità, ho paura soprattutto per mia moglie e il bimbo. Noi non siamo razzisti, non lo siamo mai stati e non lo saremo. Però pretendiamo rispetto. Qualcuno ci ha consigliato di vendere la casa e trasferirci. Ma vi sembra giusto?».

Fabio si è recato al pronto soccorso dell’ospedale di San Donà di Piave (Venezia) dove è stato medicato e dove gli hanno consigliato di fotografare i lividi alla schiena e alle gambe. Ha quindi sporto denuncia ai carabinieri della stazione di Meolo. Del fatto è stato informato anche il sindaco di Meolo, Michele Basso.

http://www.ilgazzettino.it/nordest/venezia/moschea_troppo_rumorosa_sotto_casa_minacciato_e_picchiato_dopo_le_proteste/notizie/297407.shtml

Albanese irrompe in azienda e tenta stupro

E’ stata aggredita sul posto di lavoro da uno sconosciuto che ha tentato di violentarla. E’ successo in un’azienda di Fabriano, in provincia di Ancona.

Si tratta di un 35enne albanese residente in provincia di Perugia che è stato denunciato. La donna ha denunciato tutto ai carabinieri che in pochi giorni hanno rintracciato l’uomo. Ad incastrarlo sono state le telecamere di sorveglianza dell’azienda insieme alla testimonianza diretta della donna che lo aveva descritto dettagliatamente.

http://www.umbria24.it/tenta-di-violentare-una-donna-sul-posto-di-lavoro-denunciato-albanese-residente-a-perugia/180095.html

Integrazione: immigrato indiano violenta le figlie per anni

Se fosse in vigore la legge targata Pd, questo crimine sarebbe stato commesso da "italiani"

Ha inghiottito la vergogna. Ha vinto la paura delle botte e delle vendette della comunità indiana. Ha stretto i denti, cacciato via le lacrime e lo schifo ed è andata dai carabinieri a raccontare tutto prima che fosse troppo tardi. L’incubo che la perseguitava da due anni dentro le mura di casa: il padre orco che usava violenza.

Credeva di essere lei l’unica vittima, per questo, con la forza dei suoi 14 anni, aveva sopportato quel peso in silenzio. Non immaginava che anche la sorellina piccola, che ha 12 anni, avesse avuto addosso le mani del padre. Le due ragazzine ora sono in un luogo segreto, in una struttura protetta, in attesa che il tribunale dei minori predisponga una soluzione perché possano riprendere la loro vita e, soprattutto, tornare a scuola. Non sa dove si trovano nemmeno la madre, che giura di non essersi mai accorta di nulla, forse anche lei succube dei soprusi del marito e padre padrone.

Lui, l’orco, che ha 50 anni, è stato colpito da una misura alternativa al carcere: il divieto di avvicinarsi a casa e si è trasferito in un paese vicino, da dove può raggiungere il posto di lavoro.

«Martedì 5 ti tocca. Tua madre non c’è, nessuno ci vedrà». È stata questa la minaccia che ha fatto traboccare il dolore della ragazzina: la promessa che dalle mani ovunque, dai baci impudici, dagli sguardi assatanati il padre sarebbe passato ad altro.

Per due anni era rimasta in silenzio, proteggendo da sola la sua paura. Aveva quasi imparato a conviverci. Ma a quel punto, due settimane fa, non ce l’ha fatta più e ha cominciato a confidarsi con una compagna di classe. Prima solo con qualche accenno timido, schermato dalla vergogna e dal terrore che il padre potesse scoprirla. Poi, grazie alle insistenze dell’amica, ha vuotato il sacco.

Lo scambio degli sms diventa fittissimo con l’avvicinarsi del giorno fissato dall’orco per divorare la ragazzina. L’amica, con un’opera certosina di pazienza e testardaggine, la spinge a mettere da parte tutta la reticenza, la paura delle ritorsioni della comunità di connazionali in cui l’omertà è il valore supremo, le spiega che i carabinieri non sono quelli che le hanno insegnato ad evitare fin da piccola e alla fine la convince. Uscita da scuola, con lo zaino in spalla, va alla stazione del paese più vicino e racconta tutto. I carabinieri capiscono immediatamente che non sono fantasie macabre di una ragazzina. Il quadro è preciso, tutti i fatti sono reali. E il racconto è confermato passo per passo dagli sms con l’amica. Uno, in particolare, dà la misura della paura della ragazzina, che chiede all’amica di cancellare il messaggio che contiene la promessa del 5 febbraio.

Parte subito la comunicazione al magistrato, che la fa portare di corsa in una struttura protetta. Il giudice per le indagini preliminari interroga l’uomo, che nega tutto ma non è convicente. Per sicurezza, allora, viene allontanata da casa anche la figlia minore. Una volta al sicuro, lontano dall’orco, anche lei si fa coraggio e rivela di essere stata vittima delle stesse violenze durante l’ultimo anno. La madre rabbrividisce. Davanti ai carabinieri giura di non voler più vedere quell’uomo che le hanno fatto sposare i parenti in India.

http://gazzettadimantova.gelocal.it/cronaca/2013/02/12/news/violenta-le-figlie-in-casa-per-due-anni-1.6525936

La “multiculturalità” è questo: significa importare usanze dei paesi di provenienza. E in India, stuprare non è – per usare un eufemismo – una rarità.