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Rissa in Guido Monaco, i sette romeni aggrediti passano la notte in … – La Nazione


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Rissa in Guido Monaco, i sette romeni aggrediti passano la notte in
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I sette romeni prelevati dalle volanti della polizia e portati in questura sono gli aggrediti nella maxi rissa di Guido Monaco. Ieri erano tornati in piazza. I giovani romeni erano tornati per l'esattezza a sedersi ai tavolini della pizzeria dalla
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Marghera, aggressione in piazza Mercato immigrati "incastrati" da Facebook

 
Avevano preso a calci e pugni un 35enne di nazionalità tunisina. Prima all’interno del bar “San Marco” di Marghera, in zona piazza Mercato, poi, non contenti, avevano continuato la colluttazione anche all’esterno del locale. Il tutto a poche settimane dall’omicidio di un 33enne macedone, avvenuto a poche decine di metri di distanza.

A incatrare la coppia di violenti (un 17enne e un 22enne di origini albanesi) sono stati gli agenti del pronto intervento della polizia municipale, che per arrivare all’obiettivo hanno indagato a 360 gradi, sfruttando anche le potenzialità dei social network. E’ stato infatti grazie a Facebook che gli inquirenti sono riusciti a dare un volto agli aggressori, dopo aver visionato i filmati di videosorveglianza del bar, del Comune e di un vicino istituto bancario.

In alcuni fotogrammi è stato possibile isolare i volti dei due, che dopo la rissa sono scappati via facendo perdere le proprie tracce lasciando la propria vittima a terra priva di sensi. Un controllo sulla bacheca del più giovane dei due ed ecco spuntare fuori foto che ritraevano entrambi. Insieme. Questi dati sono stati confrontati con l’identificazione dei presenti al bar dopo la rissa, operata da una pattuglia della polizia municipale e una della polizia provinciale: la coppia, infatti, convinta di non essere riconosciuta, è tornata quella sera stessa come nulla fosse a sedersi ai tavolini del bar, gestito da cinesi.

Il minore, residente nel Comune di Venezia, è stato identificato per primo. Il 22enne, invece, è stato rintracciato dopo un’indagine accurata sulle utenze cellulari: proveniente dalla Svizzera, si trovava in un appartamento di amici, a Marghera

 

Modena, il laboratorio dell’eroina nei capannoni di via Fanti

Una base di spaccio e consumo di droga davanti all’uscita porta nord della stazione dei treni, dove ogni giorno tantissimi pendolari parcheggiano le proprie auto. Oltrepassato il cancello, socchiuso dagli ospiti del posto, extracomunitari, si presentano numerosi punti di ristoro, con tavolini dove tagliare o consumare droga, il tutto avvolto da giacigli dove dormire, odori nauseabondi e cumuli di sporcizia. L’area è quella, ormai abbandonata da più di un decennio, dell’ex consorzio agrario dove sono rimasti in piedi gli ultimi avamposti delle strutture manifatturiere, chiuse da tempo, della fascia ferroviaria.

Demolite le officine Rizzi, la torrefazione Molinari e il consorzio, gli unici edifici rimasti sono quelli che si affacciano su via Manfredo Fanti, a Modena Nord, al quartiere Sacca. Davanti c’è la fermata del bus, e bastano pochi passi per raggiungere il sottopassaggio che collega alla stazione dei treni e che porta direttamente in centro. Forse, proprio per questa loro centralità, i capannoni erano diventati la base operativa per i traffici delle “staffette” che sicuramente andavano avanti da alcuni mesi e, secondo testimonianze, già da fine estate. L’intera area è divisa per zone. Il viaggio inizia nel primo scompartimento, un capannone di medie dimensioni che presenta segni di passaggio con coperte gettate a terra, pentolini per cucinare e confezioni di tortellini. Gli ospiti, forse per scaldarsi, accendevano dei fuochi all’interno del capannone, e fuliggine e muri anneriti fanno pensare anche un principio di incendio. In un altro capannone una scena simile, ma più intima e raccolta. Su una scrivania, forse usata dagli spacciatori per confezionare dosi o tagliare droga come eroina o hascisc, sono posizionate una boccetta con del liquido insieme ad altri attrezzi del mestiere, il tutto condito da polvere bianca sparsa sul tavolo. Il luogo, come detto, è composto da altri capannoni, e l’intera struttura presenta anche un secondo piano, diventato sembra un rifugio per sbandati, spacciatori e tossicodipendenti in cerca di un posto riparato per effettuare traffici o consumare dosi sul posto. All’interno di un altro capannone la scena non cambia. Sporcizia, segni di consumo e confezionamento di droga sono ovunque, ma gli ospiti sembrano aver fatto un salto di qualità con la creazione di buchi nei muri per andare in altre zone dell’edificio, chiuse dall’esterno, o per fuggire ad eventuali controlli. Quei posti, segni indelebili della fascia industriale di Modena, oggi sono avvolti dal degrado, tutto a pochi metri dalla società civile.