Integrazione: torturata coi cavi elettrici la bambina ‘comprata’

17-08-2012

Torturata con i cavi elettrici, parla la bambina-copertina dell’integrazione targata Sant’Egidio-Caritas

Dormivo in piedi, la prima volta picchiata per un caffè

VENEZIA – Ha pianto quando ha raccontato la tortura per lei più terribile, quella dei fili elettrici che le hanno procurato ustioni in varie parti del corpo. Ma in oltre due ore di interrogatorio davanti al giudice Licia Marino la ragazzina che da metà aprile all’altro ieri ha subìto violenze inaudite, sepolta viva in un appartamento di Marghera, non si è persa d’animo un solo istante. Ha ripetuto per filo e per segno il racconto già fatto nel primo interrogatorio. Sicura di sé, tranquilla perché sa di essere in buone mani, affidata ai servizi sociali del Comune e al tutore, l’avvocato Alberto Fassina.

La piccola è arrivata nella sede del Tribunale dei minori, in via Forte Marghera, a mezzogiorno. Pantaloncini corti e t-shirt, vestita come una qualsiasi teen-ager, ha affrontato il racconto delle vessazioni, della violenza carnale e delle torture con estrema lucidità. Inchiodando alle sue responsabilità il promesso sposo – che ha rifiutato di essere presente ieri in Tribunale e per conto suo c’era solo l’avvocato Paolo Vannini – e la madre dello sposo, Nermin Jasar.

Tutto è iniziato con un caffè, ha raccontato la sposa-bambina. Lei era arrivata a Marghera – venduta per tremila euro dai genitori «papà e mamma sono poverissimi» li ha giustificati – a metà aprile. Per 15 giorni non ha visto L. il suo sposo diciassettenne. Lui era in comunità perché è tossicomane. Quando è tornato a casa e si sono visti, non si sono piaciuti. «Mi fai un caffè?», ha chiesto lui. Lei gliel’ha preparato e forse ha messo troppo zucchero o troppo caffè, non lo sa nemmeno lei. Fatto sta che il caffè non andava bene e lui l’ha colpita con un pugno al volto.

Poi lo stupro, il lenzuolo rosso di sangue per la perduta verginità mostrato a tutti i parenti, e le notti, tutte le notti, passate in piedi, nella stessa camera dello “sposo”, ma con la faccia rivolta al muro. Perchè lui non la voleva a letto. Poi le botte, ogni giorno. E le torture con i fili elettrici che le hanno ustionato il corpo. E la suocera sempre presente. Anche il padre di lui si è accorto di quello che stava succedendo e si è guardato bene dal liberarla. Ha picchiato il figlio, gli ha detto di lasciarla stare, ma potrebbe essere indagato per concorso in sequestro di persona.

Ma è la madre, Nermin Jasar, che appare come la vera “orca”, il mostro che ha incoraggiato il figlio, che è stata sempre presente alle torture. Lei che ha sequestrato questa ragazzina dagli occhioni spalancati verso la vita che dimostra tutti i suoi 13 anni, non uno di più, e che si è trovata a dover lottare contro degli aguzzini che non hanno mai avuto pietà, nemmeno per un momento di lei, piccola e indifesa, lontana dalla famiglia, che pure l’aveva venduta. Ma la piccola non ha mai avuto parole di condanna per mamma e papà, semmai di comprensione e se piange per i genitori piange perché li vorrebbe vedere e abbracciare, anche se sono quelli che l’hanno venduta.

 

http://www.gazzettino.it/articolo.php?id=214373&sez=NORDEST

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