“Mi hanno buttato a terra e poi hanno iniziato a colpirmi”

15-06-2015

“Un ragazzo, dopo essere sceso, è “risalito sul treno, ha puntato con il machete in mano il capotreno inseguendolo all’interno della prima carrozza, mentre lui tentava di fuggire”.

È il racconto messo a verbale da Riccardo Magagnin, ferroviere che, l’11 giugno scorso a Milano, era sul passante ferroviario quando il collega Carlo Di Napoli è stato gravemente ferito ad un braccio, quasi amputato. Anche verso di lui, tra l’altro, è stato indirizzato un “fendente”, ma è riuscito “a bloccare il braccio dell’aggressore”, prima di essere pestato.

Le sue dichiarazioni sono contenute nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, firmata dal gip Gennaro Mastrangelo, a carico dei due ragazzi salvadoregni e dell’ecuadoriano, appartenenti alla “pandilla” MS13 e arrestati nei giorni scorsi. “Ricordo – ha spiegato il ferroviere – di essere stato buttato a terra e poi ho tentato di proteggermi il viso mettendomi in posizione fetale per attutire i colpi”. Dall’ordinanza, tra l’altro, emerge anche che Josè Emilio Rosa Martinez – 19enne, difeso dal legale Andrea Mantuano e che ha già confessato di aver sferrato il colpo di machete – ha indicato ai magistrati anche un altro dei componenti del gruppo, oltre ai due giovani finiti in carcere con lui. Martinez, infatti, non solo si è detto “dispiaciuto” per il suo gesto e ha raccontato i dettagli di una serata a base di “vodka” conclusa con la brutale aggressione in treno, ma ha anche messo a verbale di aver preso in prestito l’arma da “Pajaro Loko”, soprannome di Andres Lopez Barraz.

La consegna sarebbe avvenuta quando erano in un parco a bere con altri e prima di salire in gruppo (erano in sette e c’era anche tale “Kevin il Rokero”) sul passante ferroviario. L’amico teneva il machete “nascosto in un cespuglio”, ha spiegato Martinez, e “ho chiesto il permesso (…) ha detto che potevo prenderlo, e quindi l’ho nascosto all’interno dei pantaloni che indossavo”. Gli agenti della Squadra Mobile, coordinati dall’aggiunto Alberto Nobili e dal pm Lucia Minutella, hanno trovato il “fodero” dell’arma a casa di “Pajaro” e sua madre ha raccontato che “quella sera il figlio, dopo essere rientrato, aveva azionato la lavatrice e intorno alle ore 5 circa del mattino stendeva la biancheria”.

“Il mio intento – ha detto Martinez al gip – non era quello di ferire nessuno, ma solo di spaventare i controllori”. Per il giudice, però, il ragazzo aveva la “volontà di uccidere”, tanto che avrebbe mirato “in direzione del capo o comunque di altre parti vitali”. E avrebbe sferrato un “fendente” anche al collega “che riusciva a bloccare il braccio dell’aggressore”.

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/collega-capotreno-aggredito-mi-hanno-buttato-terra-e-poi-han-1140929.html

Crimini Immigrati

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