Vicenza: allarme Tubercolosi. Nordafricano “bomba epidemica” contagia poliziotti

26-05-2012

VICENZA – Un caso di tubercolosi in carcere. Il malato, un nordafricano  di 32 anni, pare un magrebino, non è più a Vicenza, è stato scarcerato un mese e mezzo fa ma la preoccupazione esplode fra gli agenti di polizia penitenziaria che lavorano all’interno della casa circondariale di San Pio X. Stefano Tolio, dirigente dell’unità operativa di sanità penitenziaria dell’Ulss, ha disposto da ieri le visite mediche per i 30 detenuti ritenuti più a rischio per essere venuti a contatto con l’extracomunitario.  Sono i 16 compagni di cella che si sono alternati accanto a lui nei 6 mesi in cui è rimasto a Vicenza, ma anche altri 14 reclusi che lo hanno affiancato nelle lezioni della scuola interna. Lunedì inizieranno i prelievi. Gli eventuali positivi ai test verranno sottoposti alla radiografia del torace, l’esame definitivo per accertare la presenza della malattia. Quando, ieri mattina, il direttore del carcere Fabrizio Cacciabue, durante la conferenza dei servizi con i responsabili dei reparti, ha comunicato cosa era accaduto, il disorientamento è stato generale. «Del resto – spiega l’agente scelto Francesco Colacino, segretario nazionale del sindacato Cnpp, il Coordinamento della polizia penitenziaria – come si fa a restare tranquilli dinanzi a una notizia del genere? Ai controlli fatti fra i colleghi del carcere di Verona il 30 per cento del personale è risultato positivo al virus della tubercolosi. Qui c’è gente sposata, ci sono padri di famiglia. Ovvio che si pensa al contagio, al pericolo di infettare moglie e figli. Vogliamo capire quale sia il rischio, ma soprattutto chiediamo che lo screening si faccia subito. Invece, ci parlano di settembre».  Insomma, c’è allerta, ma Tolio, responsabile dell’assistenza dei detenuti da quando, tre anni fa, questa particolare competenza per legge è passata dal ministero della giustizia al ministero della salute, mette in guardia da allarmismi e paure eccessive. «Capisco il panico che la notizia può aver generato ma la situazione è sotto controllo. Noi sapevamo del problema, due giorni fa io e il collega infettivologo Vinicio Manfrin avevamo riferito al direttore del carcere, e si era già deciso cosa fare. Dovevamo dare delle priorità e abbiamo scelto subito coloro che rischiano di più, anche perché a giugno, in base a un protocollo regionale, faremo uno screening sistematico a tutta la popolazione carceraria. Stiamo solo aspettando che arrivi l’apparecchio radiologico portatile che l’Ulss ha acquistato».  Ma come è stato scoperto questo caso di tbc? «Il sospetto che questo extracomunitario fosse malato – dice Tolio – ce l’avevamo da tempo. Così gli abbiamo fatto un controllo all’interno del carcere che, però, è risultato negativo. Fuori del San Pio X l’uomo è stato visitato in ospedale, e a questo punto il test ha dato esito positivo. Il primario di malattie infettive del S. Bortolo Giampietro Pellizzer lo ha ricoverato».  Èil primo caso di tbc che viene scoperto al San Pio X: «Ogni tanto – spiega Tolio – ci arriva qualche segnalazione da altre case di custodia. L’ultimo riguardava un detenuto che a Regina Coeli era venuto a contatto con un malato. Abbiano effettuato subito i controlli ma l’uomo non aveva nulla. La guardia è e deve restare molto alta. La tbc in carcere non è un evento eccezionale. La probabilità di contrarre la tbc è 30-40 volte superiore rispetto alla media nazionale. La causa? La presenza di immigrati.».

I DIPENDENTI IN SUBBUGLIO «Un atto gravissimo, il direttore ci doveva avvisare». I 156 addetti alla sicurezza della polizia penitenziaria, oltre ai 25 dipendenti ministeriali sono in subbuglio per la notizia della presenza di detenuti affetti di tubercolosi. L’attacco arriva da Leonardo Angiulli, segretario del triveneto Uil polizia penitenziaria. «Le verifiche mediche all’interno del San Pio X – spiega Angiulli – sono iniziate dai detenuti e non dal personale, Lo consideriamo un gesto inaccettabile. Il rischio contagio è elevato, i detenuti hanno un rapporto con l’esterno continuo.  Con avvocati, volontari e assistenti sociali». LA MATTINATA Tutto era iniziato alle 8 di ieri mattina quando il direttore Fabrizio Cacciabue ha comunicato sulla bacheca che ci sarebbero state informazioni sulla situazione igienico-sanitaria. «Non comunicando però al personale che l’Ulss aveva riscontrato che un detenuto giunto in ospedale aveva incubato la tubercolosi in carcere». A questo punto è allarme e lo scontro sembra solo agli inizi.

Siamo alla follia. Se il 30% delle guardie carcerarie è risultata positiva, significa che l’incidenza nelle carceri è enorme tra i detenuti, perché è da loro che hanno ricevuto il contagio. E siccome nel carcere di Verona il 70% dei detenuti è immigrati e la Tubercolosi è endemica tra gli immigrati,  immaginate cosa può accadere ad uno qualsiasi di noi, prendendo il treno accanto ad un Africano piuttosto che ad un Cinese o ad uno Zingaro.  Si, lo so, ora a qualche “animabella” sarà partito il riflesso pavloviano del “razzista!”, ma torni a dircelo quando uno dei suoi cari avrà contratto una di queste malattie, grazie all’invasione in atto. Questo non è “razzismo”. Questo è buon senso.

Un’altra cosa: vi pare “normale”, che un detenuto malato di Tubercolosi, venga rilasciato senza sapere dove va e chi frequenta. In pratica abbandonando cittadini innocenti alla probabilità di contrarre la malattia per contatto casuale con questo individuo? A noi, normale non pare.

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