Milano: “beatificazione” in corso, per l’immigrato sudamericano

17-02-2012

«Non abbiamo mai avuto armi, siamo scappati perché clandestini e avevamo paura di un controllo». Lo ha raccontato, ai microfoni del Tg3 Lombardia, Alvaro Thomas Huerta Rios, il cileno di 25 anni che era assieme al suo connazionale che, lunedì scorso a Milano, è stato ucciso dall’agente di polizia locale Alessandro Amigoni. Huerta Rios, che quel pomeriggio stava fuggendo con il cileno di 28 anni in zona Parco Lambro, si è presentato venerdì pomeriggio in Procura dal pm di Milano Roberto Pellicano ed è stato poi portato in Questura per essere sentito. E ha aggiunto: «Sono andato in Procura perché non ho niente da temere. Quel giorno siamo scappati perché siamo clandestini e avevamo paura di essere fermati. Mai avuto armi – ha concluso – tutte cose false».
[stextbox id=”info” color=”000000″ bcolor=”000000″ bgcolor=”f6eb97″]Se sei immigrato e delinquente, puoi permetterti di telefonare in Questura da latitante per, diciamo così, “testimoniare” sul comportamento di un Vigile che ti stava inseguendo mentre con l’auto fuggivi contromano speronando chiunque.
E’ il mondo all’incontrario. Una società distopica nella quale la vittima è il carnefice.
Uno società alla quale ci ribelliamo e ci ribelleremo, finché non verrà abbattuta.
Non ha nulla da temere, dice, in fondo è “solo” clandestino e sa benissimo che i magistrati brdella Procura di Milano non faranno assolutamente nulla. Otterrà un bel permessino umanitario e l’altro clandestino morto sul “lavoro”, la cittadinanza onoraria di Milano.
Intanto fa la sua intervista show al Tg3. Prossimamente lo troveremo in qualche reality per cerebrolesi.
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MILANO – L’uomo che era assieme al cileno di 28 anni, ucciso lunedì scorso durante un inseguimento dall’agente di polizia locale Alessandro Amigoni, si è messo in contatto con gli inquirenti milanesi titolari dell’inchiesta per omicidio. Il fuggitivo si è messo in contatto con il pm: a fare da tramite sarebbe stata Ruth Cardillo, la compagna della vittima. Dopo una titubanza iniziale, si è convinto a presentarsi agli investigatori alla Questura di Milano

LO SPARO DA VICINO – Sul fronte delle indagini, sono arrivati i primi accertamenti balistici, secondo cui il colpo partito dalla pistola di servizio sarebbe stato esploso da non molta distanza rispetto alla posizione della vittima. Il proiettile, infatti, ha trapassato il corpo del cileno, entrando dalla scapola e uscendo dal cuore, con direzione dal basso verso l’alto, e questo potrebbe essere un elemento, da quanto si è saputo, che indica che l’agente e l’immigrato non erano troppo distanti l’uno dall’altro. Al momento non si sa con esattezza a quanti metri si trovassero l’uno dall’altro. Anche il fatto che il proiettile ha trapassato completamente il corpo della vittima potrebbe essere un elemento che avvalora l’ipotesi di una distanza non elevata tra i due.
LA VERSIONE DEL VIGILE – Sono emersi intanto altri dettagli dal verbale del primo interrogatorio dell’agente Alessandro Amigoni, lunedì davanti al pm. «Ho fatto fuoco a scopo intimidatorio sparando sulla mia sinistra contro un terrapieno in modo da non creare pericolo per nessuno. Ho ritenuto di non sparare in aria perché ho pensato che potesse essere pericoloso per la ricaduta dell’ogiva, ritenendo più sicuro colpire un terrapieno sul quale il proiettile si sarebbe arrestato». «Dopo il colpo non ho realizzato che uno dei due fosse stato colpito perché hanno entrambi proseguito la corsa e la persona disarmata si è girata verso di me inciampando e cadendo al suolo. Ho visto chiaramente che questi cadeva a terra, arrestandosi con la schiena sul terreno e il viso rivolto verso l’alto, dopo aver battuto il capo al suolo». Quindi, ha proseguito il vigile, «continuando a correre mi sono avvicinato e, appena arrivato presso di lui, questi mi ha tirato un calcio sullo stinco destro, facendomi cadere. Durante la caduta mi sono fatto del male in quanto impugnavo l’arma e, per evitare di esplodere altri colpi accidentalmente, non sono riuscito a ripararmi con le mani tese dalla caduta. Mentre mi rialzavo ho guardato la persona e ho notato che vicino al fuggitivo rimasto a terra c’era già il mio collega De Zardo e ho rimesso la pistola in fondina. Poiché questi si agitava ancora, per evitare che facesse gesti pericolosi, io e il collega lo abbiamo ammanettato, utilizzando le manette di ques’ultimo».
NON SI E’ ACCORTO DI AVERLO COLPITO – Amigoni ha messo a verbale anche che, mentre lo ammanettavano, «non abbiamo notato (…) sanguinamento». I due colleghi lo hanno preso sotto braccio e lo hanno portato vicino all’auto: «Lo abbiamo fatto sedere e mi sono accorto che sanguinava dalla testa in conseguenza probabilmente della caduta… A quel punto, la persona si è sdraiata a terra con la faccia verso il basso e ha incominciato ad avere una respirazione affannosa. Dopo avere sommariamente constatato che non aveva armi indosso e non vi era pericolo, gli ho tolto le manette per agevolare la respirazione». Secondo il vigile, è stato a questo punto che ha chiesto a una collega di chiamare un’ambulanza. Di fronte all’affanno sempre più grave del cileno, il vigile gli ha aperto la giacca e «mi sono reso conto guardandomi la mano di averla sporca di sangue». È stato solo in questo momento che ha capito di averlo colpito. Poco dopo è arrivata l’ambulanza. «So che è obbligatorio esercitarsi al poligono per tre volte l’anno nella Polizia locale di Milano, ma da quando sono qui a Milano, dal dicembre 2010, ho sparato una sola volta», ha detto ancora il vigile.
IL COLLEGA – L’agente Massimo De Zardo, collega di Amigoni, ha detto che tra il vigile che ha sparato e il cileno colpito c’era una «breve distanza», «circa 7 metri». E ha aggiunto: «Proprio a ragione di questa vicinanza l’Amigoni non è riuscito a contenere la corsa ed è a sua volta inciampato sul corpo di quest’ultimo». Lo stesso agente ha chiarito davanti al pm che la fase dell’inseguimento è durata «pochissimo». Appena uscito dalla macchina «ho sentito uno sparo». Si è «avvicinato al soggetto caduto e del tutto inconsapevole circa il fatto che fosse stato colpito da un proiettile ho utilizzato le mie manette su uno dei polsi. L’altro polso – ha chiarito – mi è stato avvicinato dal collega Amigoni in modo da completare l’ammanettamento». Da subito, «è risultato evidente che questi non aveva delle reazioni naturali. Pareva un peso morto». Poco dopo Amigoni «si accorse e mi fece comprendere, sebbene non sia in grado di ricordare le parole esatte da lui adoperate, che lo aveva colpito con lo sparo». De Zardo ha voluto però escludere «a priori che egli abbia mirato per uccidere». Tutti e tre gli agenti che erano con Amigoni hanno escluso, anche se con modalità differenti, che ci fosse un’arma puntata verso di loro da parte dei fuggitivi. […]

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