Gli occhi elettronici erano piazzati nei «punti cardinali» del campo. Il vialetto d’ingresso, il solo accesso per le auto che arrivano da via Chiesa Rossa. I due lati del campo, nord e sud, per essere certi che a nessuno venisse la strana idea di tendere un’imboscata. E, infine, il sentiero che dai campi porta al Gratosoglio, via di fuga preferita in caso di controlli delle forze dell’ordine. Ma anche «tallone d’Achille» del campo perché la stradina tra le sterpaglie è servita anche ai poliziotti per mimetizzarsi, appostarsi, dare il via ai blitz nell’insediamento-fortino di via Chiesa Rossa, 351. L’ultimo è di mercoledì mattina, quando una cinquantina di poliziotti ha perlustrato il campo comunale creato nel 1999 al confine tra Milano e Rozzano. Ma appena gli agenti del commissariato Scalo Romana hanno varcato il perimetro dell’area per gli abitanti non c’è stato alcun effetto sorpresa. Perché, in realtà, l’arrivo della polizia era già stato segnalato per tempo. Non dai bambini-sentinella che giocano nei vialetti interni, ma da un sistema di videosorveglianza collegato direttamente con alcuni edifici. Cinque telecamere agganciate ad assi di legno e mimetizzate accanto alla recinzione che rimandavano le immagini su alcuni monitor (in parte di vecchia costruzione, in parte nuovissimi) che si trovavano nelle casette prefabbricate abitate da circa 250 sinti.
Gli investigatori del commissariato Scalo Romana, guidati dal vice questore aggiunto Angelo De Simone, hanno verificato che gli impianti non avevano alcuna autorizzazione e che tutto era stato realizzato in modo artigianale. Seguendo i cavi di connessione tra le telecamere – in grado di funzionare anche di notte – gli agenti hanno scoperto i vari allacciamenti con i monitor nelle case. Nel campo vivono soprattutto membri delle famiglie Deragna e Hudorovic. E proprio un componente di quest’ultimo gruppo ha cercato di giustificare la presenza dell’impianto abusivo sostenendo che le telecamere erano state installate per «prevenire» attacchi da parte di clan rivali. In particolare i Braidich di via Idro, al centro nel recente passato di una sanguinosa faida tra famiglie rom. In realtà, per gli investigatori gli occhi elettronici erano un vero sistema di «controspionaggio» utilizzato per monitorare polizia e carabinieri. Anche per assicurare l’assenza di intrusi durante le quasi quotidiane aggressioni e rapine a camionisti e spedizionieri «indirizzati» al civico 351 di via Chiesa Rossa con acquisti truffa e successivamente derubati del carico dei camion: la specialità di molti degli abitanti del campo comunale (esclusi i minori di 14 anni, non imputabili, tutti gli altri hanno precedenti penali e di polizia).
Dopo il blitz del commissariato Scalo Romana, venerdì pomeriggio intorno alle 14.30, una volante della polizia ha scoperto una nuova telecamera installata abusivamente. Gli impianti sono stati portati via dalla polizia in attesa di un eventuale sequestro. Il caso è stato invece segnalato in Procura, per il momento non sono emersi veri reati ma solo la violazione delle disposizioni del garante della privacy perché l’impianto non aveva autorizzazioni né cartelli che ne segnalassero la presenza. Ma le indagini sono solo all’inizio.Gli occhi elettronici erano piazzati nei «punti cardinali» del campo. Il vialetto d’ingresso, il solo accesso per le auto che arrivano da via Chiesa Rossa. I due lati del campo, nord e sud, per essere certi che a nessuno venisse la strana idea di tendere un’imboscata. E, infine, il sentiero che dai campi porta al Gratosoglio, via di fuga preferita in caso di controlli delle forze dell’ordine. Ma anche «tallone d’Achille» del campo perché la stradina tra le sterpaglie è servita anche ai poliziotti per mimetizzarsi, appostarsi, dare il via ai blitz nell’insediamento-fortino di via Chiesa Rossa, 351. L’ultimo è di mercoledì mattina, quando una cinquantina di poliziotti ha perlustrato il campo comunale creato nel 1999 al confine tra Milano e Rozzano. Ma appena gli agenti del commissariato Scalo Romana hanno varcato il perimetro dell’area per gli abitanti non c’è stato alcun effetto sorpresa. Perché, in realtà, l’arrivo della polizia era già stato segnalato per tempo. Non dai bambini-sentinella che giocano nei vialetti interni, ma da un sistema di videosorveglianza collegato direttamente con alcuni edifici. Cinque telecamere agganciate ad assi di legno e mimetizzate accanto alla recinzione che rimandavano le immagini su alcuni monitor (in parte di vecchia costruzione, in parte nuovissimi) che si trovavano nelle casette prefabbricate abitate da circa 250 sinti.
Gli investigatori del commissariato Scalo Romana, guidati dal vice questore aggiunto Angelo De Simone, hanno verificato che gli impianti non avevano alcuna autorizzazione e che tutto era stato realizzato in modo artigianale. Seguendo i cavi di connessione tra le telecamere – in grado di funzionare anche di notte – gli agenti hanno scoperto i vari allacciamenti con i monitor nelle case. Nel campo vivono soprattutto membri delle famiglie Deragna e Hudorovic. E proprio un componente di quest’ultimo gruppo ha cercato di giustificare la presenza dell’impianto abusivo sostenendo che le telecamere erano state installate per «prevenire» attacchi da parte di clan rivali. In particolare i Braidich di via Idro, al centro nel recente passato di una sanguinosa faida tra famiglie rom. In realtà, per gli investigatori gli occhi elettronici erano un vero sistema di «controspionaggio» utilizzato per monitorare polizia e carabinieri. Anche per assicurare l’assenza di intrusi durante le quasi quotidiane aggressioni e rapine a camionisti e spedizionieri «indirizzati» al civico 351 di via Chiesa Rossa con acquisti truffa e successivamente derubati del carico dei camion: la specialità di molti degli abitanti del campo comunale (esclusi i minori di 14 anni, non imputabili, tutti gli altri hanno precedenti penali e di polizia).
Dopo il blitz del commissariato Scalo Romana, venerdì pomeriggio intorno alle 14.30, una volante della polizia ha scoperto una nuova telecamera installata abusivamente. Gli impianti sono stati portati via dalla polizia in attesa di un eventuale sequestro. Il caso è stato invece segnalato in Procura, per il momento non sono emersi veri reati ma solo la violazione delle disposizioni del garante della privacy perché l’impianto non aveva autorizzazioni né cartelli che ne segnalassero la presenza. Ma le indagini sono solo all’inizio.