Reggio Emilia, 17 marzo 2014 – «RUBAVA cuccioli di labrador dall’allevamento, per poi svezzarli e rivenderli». È questa l’accusa per cui un nomade reggiano dovrà presentarsi oggi davanti al giudice, in tribunale, a difendersi. Dovrà spiegare perché quei cuccioli, dopo la denuncia di furto da parte degli allevatori, vennero trovati in suo possesso. E, soprattutto, quale fosse la loro provenienza.
Stando alle ricostruzioni, infatti, l’uomo che oggi sarà imputato li stava svezzando, con l’intento poi di cercare nuovi acquirenti e guadagnare ingenti somme di denaro. Ognuno di quei cagnolini, infatti, vale circa 500 euro. E all’appello ne mancavano diversi.
L’INQUIETANTE episodio è avvenuto circa un anno fa; ma i dettagli sono emersi solo ora, all’indomani del processo.
Tutto comincia quanto da un allevamento alle porte della città spariscono alcuni cuccioli di labrador (6 o 7 stando alle testimonianze). Così i proprietari si rivolgono alla polizia chiedendo aiuto.
Gli uomini della questura iniziano subito le indagini e, poco tempo dopo, durante una perquisizione nel campo nomadi della frazione di Ghiarda, trovano i cagnolini che corrispondono esattamente alla descrizione fornita dagli allevatori.
Non solo. Quei cuccioli — stando a quanto riferiscono le forze di polizia — venivano allattati con il biberon in attesa di essere svezzati e pronti per essere consegnati a chi volesse portarli a casa.
L’uomo è stato così denunciato. Partita la segnalazione in procura, è stato aperto un fascicolo su di lui. E oggi parte il processo.
PADOVA – La Polizia di Stato di Padova ha arrestato un 51enne bulgaro noto per le sue condotte violente e moleste ai danni di donne ed automobilisti. Si chiama Balyo Iliev ed è noto alla forze dell’ordine in città. Alcuni anni fa, al diniego di un’offerta di elemosina da parte di una donna ferma al semaforo, le aveva reciso di netto il lobo di un’orecchio per strapparle l’orecchino.
Per quei fatti era stato arrestato e dopo aver espiato la pena era stato espulso dall’Italia su ordine del questore per motivi di ordine pubblico. Lo straniero era riapparso, da alcune settimane, in alcune vie della città euganea, in particolare tra il cavalcavia Borgomagno e Piazza Mazzini, impegnando a più riprese agenti delle Volanti e della polizia municipale.
La squadra Mobile di Padova, alla luce delle reiterate violazioni del divieto di dimora in atto, ha chiesto ed ottenuto dalla Corte d’Appello di Venezia una misura cautelare in carcere, immediatamente eseguita. All’esito dell’iter giudiziario, lo straniero sarà rimpatriato su ordine del Questore di Padova, Vincenzo Montemagno.
Rabbia e paura nelle parole del pensionato dopo aver saputo dell’assalto di cui è rimasta vittima la figlia nella sua abitazione di Anconetta
«Sono certo che ad aggredirla sia stato l’uomo che l’ha violentata»
VICENZA. «Undici anni di sofferenze. E quando, finalmente, sembrava che le cicatrici si stessero rimarginando una nuova ferita. Finirà mai questo incubo? Mia figlia potrà mai riprendere a condurre una vita normale, senza paura, senza doversi continuamente guardare alle spalle?» Ci sono rabbia, amarezza e tanta tristezza nelle parole del padre della donna che venerdì è stata ustionata con l’acido. Il pensionato non ha potuto correre in ospedale dalla figlia perché ammalato. «Purtroppo non l’ho ancora vista – ha spiegato – ma ci siamo ovviamente sentiti al telefono. Dopo averle parlato mi sono sentito sollevato perché mi ha detto che sta abbastanza bene e che il dolore, all’inizio fortissimo, si sta per fortuna attenuando. Spera di poter essere dimessa presto. Le ferite guariranno con il tempo. La paura, invece, chissà quando finirà». La vittima gli ha raccontato tutti gli istanti dell’aggressione, quei minuti terribili che le devono essere sembrati lunghissimi. «Mi ha detto che quando ha aperto la porta, convinta che fossero i suoi suoceri – ha aggiunto – e si è trovata davanti due uomini vestiti di nero, con i guanti e il passamontagna non ha capito più niente. È rimasta impietrita, incapace di reagire per il terrore. Eppure, a posteriori, forse è stato meglio così. Quei due erano disposti a tutto, è chiaro. Se lei avesse tentato di difendersi chissà che cosa sarebbe successo….
Secondo il Tirreno.it la bestia senegalese arrestata per lo straziante omicidio della 19enne a Castagneto Carducci, nel 2010 aveva aggredito delle persone con un’ascia. Ma era incredibilmente libero in Italia. A spacciare:
DONORATICO. Quando i carabinieri lo hanno fermato aveva ancora in mano l’ascia con cui aveva danneggiato un bar, rincorso un commesso e minacciato altre persone. E’ stato arrestato e portato in camera di sicurezza. Ieri il giudice ha convalidato l’arresto di Ablaye Ndoye, trentenne senegalese. Che ha patteggiato cinque mesi per minacce e danneggiamenti. Concessa la sospensione condizionale della pena, Ndoye è stato rimesso in libertà. Tutto sarebbe cominciato a causa di un panino al kebab, domenica sera a Donoratico. Secondo quanto è emerso da una rapida indagine dei carabinieri, Ndoye aveva avuto un’animata discussione con un commesso della kebabberia davanti alla stazione, che gli aveva ricordato di dover ancora pagare un panino mangiato qualche giorno prima. La discussione poi sarebbe sfociata in scontro fisico, fino all’intervento di alcuni passanti. Ndoye e il commesso sarebbero stati divisi ma poi il senegalese sarebbe tornato alla kebabberia, brandendo un’ascia da boscaiolo, minacciando il banconista e rincorrendolo fino alla cucina. Trattenuto da altri dipendenti del locale e allontanato una seconda volta, Ndoye si sarebbe messo a caccia di altre persone, quei passanti intervenuti in occasione della prima lite in strada, davanti alla kebabberia. Durante le ricerche l’africano si sarebbe fermato davanti al Bar Royal, minacciando altre persone e danneggiando gli arredi esterni del locale. Erano le 23 quando la centrale operativa dei carabinieri ha ricevuto la segnalazione. Sul posto è stata inviata una pattuglia che ha individuato Ndoye a poca distanza dal bar. Ancora con l’ascia in mano. L’uomo è stato bloccato, disarmato e portato in caserma. Ieri la convalida e il processo chiuso con il patteggiamento. http://iltirreno.gelocal.it/cecina/cronaca/2010/10/19/news/con-l-ascia-minaccia-un-barista-1.2124296
Buona integrazione a tutti.
Svolta nell’omicidio di Ilaria Leone (FOTO), la ragazza di 19 anni strangolata a Castagneto Carducci. Uno dei due senegalesi fermati – Ablaye Ndoye, 34 anni – è stato arrestato e portato in carcere a Livorno (FOTO). L’altro è stato rilasciato e fatto uscire da un ingresso secondario della caserma di Donoratico.
«Assassino, assassino». Così si sono rivolti alcuni amici della ragazza al giovane senegalese che stava uscendo dalla caserma insieme ai carabinieri (VIDEO). «Lo sapevo che era lui», ha urlato una giovane amica della ragazza. Secondo quanto si apprende, il giovane senegalese sarebbe stato conosciuto dai ragazzi della zona e anche da Ilaria.
IL CELLULARE NEL SUO ZAINO. «Il senegalese fermato era conosciuto come spacciatore e la giovane era una consumatrice di sostanze stupefacenti», ha detto il procuratore Francesco De Leo durante la conferenza stampa dei carabinieri a Livorno. Al 34enne senegalese gli inquirenti sono arrivati sia grazie al telefono cellulare della ragazza, trovato nello zainetto dell’uomo (nascosto nel giardino della casa dove il senegalese viveva insieme ad alcuni connazionali) che avrebbe ricevuto l’ultima chiamata da Ilaria Leone, sia dall’aiuto fornito dalla comunità senegalese molto forte nella zona. Il 34enne, ha spiegato il procuratore Francesco De Leo «era una personalità compatibile con quanto è successo: era conosciuto come persona violenta e con precedenti per lesioni, furto e danneggiamento».
«Ablaye Ndoye non aveva il permesso di soggiorno ed era già destinatario di un provvedimento di espulsione le cui pratiche erano in corso», ha aggiunto Francesco De Leo, che insieme al comandante provinciale dei carabinieri Massimiliano Della Gala ha confermato che l’uomo non ha ancora confessato, ma che «su di lui ci sono pesanti indizi». I carabinieri hanno anche spiegato che «per la svolta delle indagini ha avuto un ruolo fondamentale la comunità senegalese».
VEGLIA SILENZIOSA. Venerdì sera veglia silenziosa a Castagneto promossa dal Comune che ha anche decretato il lutto cittadino il giorno dei funerali della ragazza (Nella foto la veglia in piazza del Popolo a Castagneto).«Quello che è accaduto in queste ore ci fa inorridire! (dovevi inorridire prima) – è scritto in una nota firmata da sindaco, giunta e capigruppo consiliari -. Castagneto Carducci non ha mai vissuto episodi di questo genere. Siamo una comunità coesa e solidale che rifiuta ogni tipo di violenza. Quello che è successo a Ilaria è una cosa atroce, indicibile, sconvolgente che ci lascia senza parole. Siamo tutti vicino alla mamma, al babbo e a Mattia».
DOVE È STATA UCCISA. Sarà l’autopsia, in programma sabato a Pisa, a confermare se Ilaria Leone sia stata anche violentata. I carabinieri del Ris stanno anche cercando di verificare dove la giovane è stata uccisa: sul corpo infatti ci sono segni di trascinamento. «Molto probabilmente – ha detto il procuratore De Leo – è stata uccisa da un’altra parte anche se poco lontano».
STRANGOLATA A 19 ANNI. La ragazza è stata trovata seminuda, con i pantaloni abbassati e da un primo esame sul corpo sarebbe stata strangolata a mani nude. Tracce biologiche sono state repertate dagli investigatori che indagano sull’omicidio di Ilaria. Lo ha riferito il procuratore di Livorno Francesco De Leo. Il magistrato non ha escluso l’ipotesi che la giovane possa essere stata violentata o che abbia subito un tentativo di violenza. Emerso anche che sarebbe stata uccisa altrove, non lontano, e poi trascinata nell’uliveto. Proseguono anche gli interrogatori di parenti e conoscenti.
FOTO Il luogo del delitto
La giovane lavorava al ristorante “La Gramola” poco distante dal luogo del ritrovamento del corpo e di lei non si avevano notizie dalle 22 del primo maggio. Ad accorgersi del cadavere, secondo una prima ricostruzione, sarebbe stata una persona che ha avvisato i carabinieri.
L’Eco di Bergamo ieri riportava un fatto di cronaca: una coppia di quarantenni residenti a Caravaggio (lui albanese, la moglie di Varese) è stata fermata qualche passo dopo le casse del supermercato Pellicano di Treviglio con circa duecento euro di merce infagottata nei vestiti e nelle borse. I coniugi fermati sono poveri, anzi miserabili, senza lavoro e con cinque figli piccoli da mantenere. Sono dunque stati costretti a rubare per sopravvivere e campare la famiglia. La polizia, dopo l’identificazione, li ha indagati in stato di libertà e subito rilasciati. segnalati. Uno scenario davvero drammatico. Più ci pensiamo, più non troviamo una soluzione. In effetti, una soluzione ci sarebbe, l’abbiamo accennato all’inizio: ci vorrebbe un giudice che si assume l’ingrata responsabilità di stabilire se il furto è stato effettivamente determinato da stato di necessità oppure no. E che decide, in coscienza, se per quel povero costretto a rubare è meglio il perdono (perché questo, di fatto, è il rilascio immediato) oppure un castigo, sia pure comprensivo delle attenuanti, affinché non si equivochi sul fatto che un furto rimane un furto, e che la spesa al supermercato si deve fare con i soldi guadagnati lavorando, come tutti. Così, non ci sarebbe l’automatismo della liberazione che renderebbe sostanzialmente legali quei furti. I dilemmi morali più grandi si nascondono nelle piccole vicende di provincia. Ci vuole coraggio per giudicare al tempo della crisi ma non si può rinunciare, una società non si regge sulla buona coscienza.
Quindi se avete un negozio e una bella famigliola di Zingari, di immigrati o con una di quelle coppie miste tipicamente disadattate viene a fare una spesa “proletaria”, non chiamate la polizia, perché loro se ne fregano.
E pensare che un tempo li chiamavano “risorse”. Il problema della società moderna è che non c’è alcuna barriera alla prolificità dell’incapace: prima, quando chi si comportava da stupido ne pagava le conseguenze, certi individui non avrebbero fatto “cinque figli” senza poterli mantenere: le condizioni glielo avrebbero impedito. Ma oggi, viviamo nella società del “cuculo”, dove uno fa cinque figli, e tutti gli altri glieli mantengono attraverso un cattiva applicazione del welfare. E’ la società ottimamente dipinta nel film “Idiocracy”.
Ci sono tre tipi di poveri: quelli per casi della vita, che devono essere aiutati a tornare autosufficienti, in una comunità degna di questo nome; ci sono poi quelli che profittano della stupidità degli altri per farsi mantenere – tipicamente gli zingari – e questi vanno puniti e non mantenuti; e poi ci sono gli immigrati, che possono essere del primo o del secondo tipo, ma di loro devono occuparsi i paesi di provenienza. Perché dovremmo mantenere noi, l’Albanese e i suoi cinque figli?
Carabinieri di Desenzano: presa la banda della “mazzetta” Ore: 12:56 | lunedì, 11 marzo 2013 I carabinieri li hanno soprannominati la «banda della mazzetta», per quegli attrezzi da muratore che tenevano nel bagagliaio dell’auto e che utilizzavano per mettere a segno i furti in appartamento. Ben cinque – tre riusciti e due tentati – quelli che il gruppo ha organizzato nella sola giornata di venerdì 8 marzo nella zona di Centenaro di Lonato. Proprio durante l’ultimo colpo una donna si è fatta insospettire da quei quattro giovani cileni che avevano suonato al suo campanello. Ha così avvertito i Carabinieri che sono prontamente intervenuti. I militari di Lonato, coadiuvati dai colleghi di Desenzano, hanno arrestato tre dei malviventi – due donne e un uomo -; mentre il quarto è riuscito a fuggire. Come accennato sono tutti di origini cilene e tutti giovanissimi: hanno infatti fra i 26 e i 22 anni. Nella loro auto, oltre alle tre mazzette da muratore, anche orologi, gioielli e navigatori satellitari. Sabato mattina sono stati processati per direttissima e, la sera, scarcerati perché incensurati.
Ha ingoiato l’anello che portava al dito per salvarlo dai rapinatori che sotto la minaccia di un coltello e di un pezzo di vetro volevano portarglielo via. La vittima, una signora romana di 47 anni, è stata ricoverata per accertamenti al San Giovanni, e probabilmente dovrà essere operata per estrarre il gioiello dall’intestino.
A gente come questa il Pd vuole svendere la cittadinanza
L’aggressione dalla conseguenza inaspettata è accaduto sabato sera intorno a mezzanotte in via Pier Francesco Giambullari, tra Colle Oppio ed Esquilino. La signora stava passeggiando con il marito, 52 anni, quando all’improvviso la coppia è stata raggiunta e circondata da 3 rapinatori nordafricani, che li hanno prima presi a spintoni e poi minacciati con una lama ed una bottiglia rotta. Subito le due vittime si sono arrese consegnando ai malviventi 200 euro che avevano nei rispettivi portafogli. Uno dei tre banditi aveva però notato il brillante sul dito medio della donna. Lei non ci ha pensato due volte, lo ha sfilato in un lampo dal dito e l’ha ingoiato.
“Un’esperienza che non dimenticherò mai – racconta la donna nel pronto soccorso dell’ospedale – Quando uno di quei malviventi mi ha detto “dammi l’anello” ho fatto finta di sfilarmelo ma me lo so sono messo in bocca ed ho deglutito per ingoiarlo. Quel diamante, oltre ad avere un alto valore commerciale, è anche il ricordo di una persona che non c’è più ed ha quindi un elevato valore affettivo. Sono riuscita a salvare un gioiello importante, ma ora dovrò forse essere operata”.In ogni caso il gesto della signora ha talmente sorpreso i rapinatori che non hanno perso tempo e sono immediatamente fuggiti verso il parco del Colle Oppio. Alcuni passanti che hanno visto a coppia in difficoltà hanno chiamato i 113, la pattuglia è arrivata in una manciata di minuti, ha soccorso la donna, chiamando anche i sanitari del 118.
Intanto è partita la caccia ai rapinatori per le vie del quartiere. I poliziotti del commissariato Esquilino, diretto da Rossella Matarazzo con le volanti hanno settacciato la zona, mentre gli investigatori insieme alla polizia scientifica ha raccolto le descrizioni dei tre per tracciare un identikit. E il bollettino medico del San Giovanni sulla donna è incoraggiante: “Dall’ultima ecografia il gioiello si trova all inizio dell’intestino. Se l’anello verrà espulso i maniera naturale e fisiologica, non dovremmo praticare l’intervento chirurgico, viceversa se le grandi dimensioni dell’anello o e la posizione interna lo impediranno si dovrà operare”. http://roma.repubblica.it/cronaca/2013/03/11/news/i_rapinatori_vogliono_l_anello_lei_si_sfila_il_brillante_e_lo_ingoia-54287885/
Parabiago, 5 febbraio 2013 – Attimi di paura. Di angoscia. Vuole dimenticare, smettere di pensare a quei drammatici momenti. Giovanna, la moglie dell’avvocato che ha reagito alla rapina nella sua villa sparando contro uno dei malviventi, abbozza però un sorriso e cortesemente accetta di ripercorrere quei minuti di puro terrore. «Erano circa le 22. In casa, oltre a mio marito ed io, c’era una delle mie tre figlie che stava preparandosi per uscire. Le altre due (una delle quali è sposata, madre di una bimba di un anno e residente a Milano, ndr) non c’erano. Anche mio figlio era fuori. Alla vista di quei due ladri in casa, la paura è stata tantissima. Me li sono trovati di fronte all’improvviso. Sono sbucati in corridoio dal nulla. Mi hanno strattonato violentemente, volevano i soldi. Hanno agito con brutalità. Ho gridato e mio marito è corso in camera da letto a prendere la pistola. Poi ha sparato e loro sono fuggiti».
Uno dei due balordi è rimasto colpito cinque volte all’addome, ma è riuscito comunque a scappare. Nell’abitazione, una bella villa monofamiliare in via Manzoni, gli investigatori hanno poi effettuato tutti i rilievi scientifici e balistici per verificare la traiettoria dei cinque colpi esplosi, in modo da ricostruire con precisione la dinamica dell’accaduto. Confermato che la pistola con cui ha sparato l’avvocato parabiaghese è una semiautomatica calibro 7.65, regolarmente detenuta.
È stato accertato che i delinquenti hanno forzato una porta finestra, per poi introdursi nella villa, e che un terzo complice li aspettava all’esterno, in auto. Il ladro rimasto ferito è stato lasciato un’ora dopo davanti all’ospedale San Carlo di Milano. Si tratta di Franco Milan Kovic, un 26enne agli arresti domiciliari nel campo nomadi di via Martirano.
Ed ora è ufficiale che anche i due malviventi hanno sparato mentre fuggivano: due colpi calibro 9 andati a vuoto. «Dopo tutto quello che succede in giro – aggiunge la moglie dell’avvocato – eravamo terrorizzati da una possibile rapina in casa. Simili assalti sono del resto già avvenuti ai danni di alcuni nostri amici e proprio qui vicino alla nostra abitazione. Nonostante fossimo quasi preparati, mai avremmo però pensato che poteva davvero succedere. E mai avremmo immaginato che si potessero vivere dei momenti così terribili».