Il padre lo picchia per la sbronza: va in caserma per denunciarlo e …
Alle 4.30 circa di stamattina i carabinieri hanno arrestato il pregiudicato tunisino R.Z., nato ad Agrigento nel 1992 ma residente a Osimo. Il giovane disoccupato è accusato di resistenza, violenza, oltraggio e lesioni aggravate. Si è presentato in evidente stato di alterazione psicofisica e ubriachezza al Comando dell’Arma per formalizzare una denuncia di lesioni contro il padre, che, poco prima, lo aveva ripetutamente percosso al volto. Stando al suo racconto, il ragazzo sarebbe rientrato a casa alle 3, dopo aver trascorso una serata in una nota discoteca in Porto Recanati (Mc); lì aveva bevuto molti alcolici, ed è stato per questo rimproverato dal genitore. La discussione è degenerata in uno scontro fisico ed il giovane è stato cacciato da casa. Il militare di servizio in caserma, viste condizioni psicofisiche del 21enne e le ferite al volto, lo ha invitato a farsi refertare al pronto soccorso del locale ospedale civile per poi formalizzare successivamente la denuncia. Invece, R.Z., anziché seguire i consigli del carabiniere, è andato in escandescenza urlando ed inveendo contro il militare con calci e pugni contro il portone della caserma. Vista la reazione, è stato richiesto l’aiuto della pattuglia del radiomobile, che, immediatamente sopraggiunta, ha cercato di calmare, assistendo e facendo accomodare in sala di attesa il giovane; poi ha proceduto agli accertamenti di rito. Improvvisamente, però, il tunisino ha aggredito violentemente i militari operanti, che a fatica sono riusciti a bloccarlo, a immobilizzarlo e ad arrestarlo. Dopodiché è stato richiesto l’intervento dei sanitari del ‘118’, per l’assistenza all’arrestato e ad un militare in turno dell’aliquota radiomobile che nello scontro ha riportato lesioni alla mano destra. Il militare ferito ha fatto ricorso alle cure ospedaliere con una prognosi di 60 giorni. Il giovane lo scorso 28 gennaio per analoghi reati era stato tratto in arresto dagli agenti del Commissariato di polizia di Osimo, avendo assunto lo stesso comportamento aggressivo. Nell’udienza tenutasi alle 14 è stato convalidato l’arresto e su richiesta della difesa è stato ammesso il patteggiamento, che si è concluso con la condanna alla pena di 3 mesi di reclusione (pena sospesa con remissione in libertà). Il tunisino arrestato è dunque ritornato in libertà. |
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“Nuovo italiano” ubriaco aggredisce agenti
Integrazione: immigrato indiano violenta le figlie per anni
Ha inghiottito la vergogna. Ha vinto la paura delle botte e delle vendette della comunità indiana. Ha stretto i denti, cacciato via le lacrime e lo schifo ed è andata dai carabinieri a raccontare tutto prima che fosse troppo tardi. L’incubo che la perseguitava da due anni dentro le mura di casa: il padre orco che usava violenza.
Credeva di essere lei l’unica vittima, per questo, con la forza dei suoi 14 anni, aveva sopportato quel peso in silenzio. Non immaginava che anche la sorellina piccola, che ha 12 anni, avesse avuto addosso le mani del padre. Le due ragazzine ora sono in un luogo segreto, in una struttura protetta, in attesa che il tribunale dei minori predisponga una soluzione perché possano riprendere la loro vita e, soprattutto, tornare a scuola. Non sa dove si trovano nemmeno la madre, che giura di non essersi mai accorta di nulla, forse anche lei succube dei soprusi del marito e padre padrone.
Lui, l’orco, che ha 50 anni, è stato colpito da una misura alternativa al carcere: il divieto di avvicinarsi a casa e si è trasferito in un paese vicino, da dove può raggiungere il posto di lavoro.
«Martedì 5 ti tocca. Tua madre non c’è, nessuno ci vedrà». È stata questa la minaccia che ha fatto traboccare il dolore della ragazzina: la promessa che dalle mani ovunque, dai baci impudici, dagli sguardi assatanati il padre sarebbe passato ad altro.
Per due anni era rimasta in silenzio, proteggendo da sola la sua paura. Aveva quasi imparato a conviverci. Ma a quel punto, due settimane fa, non ce l’ha fatta più e ha cominciato a confidarsi con una compagna di classe. Prima solo con qualche accenno timido, schermato dalla vergogna e dal terrore che il padre potesse scoprirla. Poi, grazie alle insistenze dell’amica, ha vuotato il sacco.
Lo scambio degli sms diventa fittissimo con l’avvicinarsi del giorno fissato dall’orco per divorare la ragazzina. L’amica, con un’opera certosina di pazienza e testardaggine, la spinge a mettere da parte tutta la reticenza, la paura delle ritorsioni della comunità di connazionali in cui l’omertà è il valore supremo, le spiega che i carabinieri non sono quelli che le hanno insegnato ad evitare fin da piccola e alla fine la convince. Uscita da scuola, con lo zaino in spalla, va alla stazione del paese più vicino e racconta tutto. I carabinieri capiscono immediatamente che non sono fantasie macabre di una ragazzina. Il quadro è preciso, tutti i fatti sono reali. E il racconto è confermato passo per passo dagli sms con l’amica. Uno, in particolare, dà la misura della paura della ragazzina, che chiede all’amica di cancellare il messaggio che contiene la promessa del 5 febbraio.
Parte subito la comunicazione al magistrato, che la fa portare di corsa in una struttura protetta. Il giudice per le indagini preliminari interroga l’uomo, che nega tutto ma non è convicente. Per sicurezza, allora, viene allontanata da casa anche la figlia minore. Una volta al sicuro, lontano dall’orco, anche lei si fa coraggio e rivela di essere stata vittima delle stesse violenze durante l’ultimo anno. La madre rabbrividisce. Davanti ai carabinieri giura di non voler più vedere quell’uomo che le hanno fatto sposare i parenti in India.
La “multiculturalità” è questo: significa importare usanze dei paesi di provenienza. E in India, stuprare non è – per usare un eufemismo – una rarità.