Toscana in balìa di bande di immigrati

14-12-2012

Europa senza frontiere: i pendolari della violenza

Sul tavolo il telecomando, un portachiavi e un vassoio di caramelle, uno di quelli che vedi in tante case, per accogliere gli ospiti. Franca Bindi siede nel tinello, il gomito sinistro piegato, i capelli scossi, gli occhiali, una vestaglia grigia. Ripensa agli immigrati che l’hanno aggredita e che hanno schiaffeggiato suo marito, proprio lì. Porta una mano sul volto. Chiude gli occhi. Piange.

Poche ore prima Franca e il marito sono stati rapinati, minacciati, aggrediti nella loro casa di Porcari; la donna sta raccontando al cronista del Tirreno l’incubo che ha vissuto. La mano sul volto, il gesto della disperazione. Prendiamo appunti, scattiamo alcune fotografie.

Questa immagine non è il trofeo di caccia di un fotografo invadente, o il frutto amaro di un giornalismo spietato, che entra nelle case e accende il flash sui volti dei deboli. È una denuncia, fatta dalla vittima. Per certi versi vale più del testo scritto, firmato e protocollato nel commissariato di polizia o nella caserma dei carabinieri. È la denuncia autentica di chi dice: guardate che cosa mi hanno fatto. Ed evitate che accada ad altri. La cosiddetta opinione pubblica, gli investigatori, gli amministratori e pure noi, testimoni dei fatti e delle loro implicazioni sulle persone: tutti destinatari di quel messaggio, lanciato dalla donna delle caramelle, che singhiozza a occhi chiusi.

Interrogato sulle notizie relative alle rapine, il motore di ricerca del nostro giornale risponde restituendo 158 articoli nell’ultimo mese. Centocinquantotto. Siamo sotto attacco e non ce ne siamo accorti; ce ne accorgiamo soltanto quando capita a noi o a qualche parente, e vediamo quelle stanze messe a soqquadro, i cassetti rovesciati, la roba sparita o rotta. Oppure, peggio, le ferite sulle facce delle persone amiche, o lo strascico di angoscia che non le abbandonerà.

Le nostre case violate, il rifugio delle famiglie penetrato da estranei malvagi e distruttori, come in una favola gotica senza lieto fine. E la brutalità, che cresce, mese dopo mese, che lascia segni addosso e ferite.

Giorni fa a Pareti di Capoliveri (Isola d’Elba), tre rapinatori romeni (poi fortunatamente arrestati) entrano in casa di Ugo Geri, imprenditore di 66 anni. Rubano ma vengono sorpresi dal proprietario. Così lo picchiano selvaggiamente, a mani nude. Ecco un’altra foto che abbiamo pubblicato: quella del volto tumefatto di Ugo, i lividi, le lesioni, un uomo innocente nel letto di un ospedale dopo l’incontro con i criminali. Con quella maschera di sangue e graffi fissa l’obiettivo e abbozza un sorriso, come per dire: e pensare che tutto sommato mi è andata bene. Anche Ugo consenziente a quello scatto, perché è arrivato il tempo di far vedere i danni, almeno quelli esteriori.

Ecco la famosa “istanza di sicurezza”, sacrosanta e calpestata. Quella che ha contribuito a far vincere più di una campagna elettorale, inserita genericamente nei programmi del bravo candidato a Palazzo Chigi o al municipio dietro l’angolo: «occorre garantire maggiore sicurezza», «aumenteremo il livello di sicurezza», ma non è accaduto, perché le parole sono vuote senza investimenti, o almeno mantenimenti, degli organici, delle pattuglie, degli agenti che effettivamente battono il territorio, che indagano e mettono in prigione i cattivi. L’esigenza della certezza della pena, contro quell’impunità che sembra sempre di più un male cronico del vivere quotidiano. Così la sicurezza, da cavallo di battaglia, è diventata un ronzino da nascondere, meglio non parlarne, meglio passare ad altro, tanto questa storia non si risolve…

Intanto gli assalti violenti crescono. Franca chiude gli occhi, come per non rivedere quelle scene atroci. Noi però non dobbiamo chiuderli.

http://iltirreno.gelocal.it/regione/2012/12/14/news/quel-pianto-e-una-denuncia-1.6195690

Da mettere in relazione: http://identità.com/blog/microposts/furti-in-abitazione-525-quelli-fatti-da-immigrati

 

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