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Coppie miste: massacrata perché “cucina male”


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TREVISO – Calci, pugni, insulti, minacce. Ogni giorno per tre anni. Poi la denuncia. La libertà da quell’uomo che aveva trasformato la sua vita in un inferno. E alla fine un nuovo baratro. Il perdono, il ritorno in una casa dove era schiava. Nuovi soprusi, nuovi dolori. Altri lunghissimi tre anni di umiliazioni e botte, tante botte. Fino alla resa dei conti. L’arresto del marito. Un kosovaro di 31 anni è finito in carcere a Santa Bona per i continui maltrattamenti nei confronti della moglie.

Lei, 31 anni trevigiana, lui, stessa età, muratore kosovaro. Si conoscono, si amano, si sposano nel 2004. E qui finisce la favola e inizia l’incubo. Lui è violento, per un nulla scatta: il suo alibi preferito per picchiarla è la cucina: «Il tuo cibo fa schifo, io ti butto la testa nell’acqua bollente, così impari». È giù botte. La trascina per i capelli lungo la scala, la minaccia di morte, la prende a sberle.

E l’inferno non finisce neanche quando nasce il loro primo figlio. Tanto che nel 2007 lei dice basta. Denuncia il marito alla polizia e torna a vivere dai genitori con il suo bimbo. Un anno dopo chiede la separazione, che si concluderà in un nulla di fatto. Perchè lei da lui non riesce a staccarsi. Lo giustifica. Lo perdona. Nel 2010 nasce il secondo figlio e loro tornano a vivere insieme. Ma non è una vita nuova, è sempre lo stesso terribile incubo. Anzi, se possibile è pure peggio. Eppure lei resiste per altri tre anni. Solo all’inizio del 2013 trova di nuovo il coraggio di andare dalla polizia. Il 10 maggio il giudice dispone l’allontanamento dell’uomo dalla casa di famiglia, dove lei resta a vivere con i due bambini.

Il kosovaro se ne va, dice che torna in patria. Ma dopo una sola settimana si presenta di nuovo alla sua porta. Dice che è in crisi, che non trova lavoro. Lei stavolta non si lascia incantare. Prende il telefono e chiama la polizia, che lo arresta. È di fronte agli agenti della squadra mobile che il kosovaro getta la maschera: «Lei sbaglia e io la picchio». È sconvolgente nella sua semplicità la risposta che dà ai poliziotti che gli chiedono conto di tanta violenza.