TERAMO. Lilian, 23 anni, costretta alla strada con un linfoma all’ultimo stadio e catapultata sul palcoscenico della cronaca. Un momento prima nome anonimo e silenzioso, un momento dopo vittima di una storia che incrocia l’abisso dei marciapiedi e, in tempi di escort ed olgettine, obbliga a vedere l’inferno della tratta delle nigeriane. Nel giorno in cui una Corte d’assise condanna a 45 anni di carcere cinque nigeriani per tratta e morte come conseguenza di altro reato perchè, sostiene l’accusa, le avrebbero impedito di curarsi, in aula per Lilian non c’è nessuno. La madre avrebbe voluto, ma la Nigeria non è dietro l’angolo e i soldi non sono per tutti. Parte civile per questa ragazza di 23 anni è l’associazione On The Road. I volontari l’hanno raccolta per strada, l’hanno vista morire. «Non ha avuto giustizia da vita, l’ha avuta da morta» dice il pm David Mancini, magistrato della procura distrettuale antimafia dell’Aquila. Ha firmato decine di inchieste sulla riduzione in stato di schiavitù, conosce bene il fenomeno della tratta e sa quanto alimenti un mercato illegale che nel volume d’affari è dietro solo al traffico di stupefacenti e di armi. Un mercato in continua evoluzione. Un business ignobile quanto diffuso favorito dalla miseria, dalla fame, dalla povertà e dall’ignoranza di chi non sa neanche di essere una vittima, di chi è sicura che si può far male con i riti woodoo . Un business che non conosce crisi e che, giorno dopo giorno, incrementa il suo fatturatoperchè i clienti ci sono sempre. Uno scenario su cui si staglia la storia di Lilian, raccolta sulla Bonifica dagli operatori dell’associazione On The Road con un linfoma all’ultimo stadio, morta nel 2011 all’ospedale di Pescara. Il suo testamento, quello di una ragazza che era stata una miss, è un’intervista, agli atti del processo, fatta tre mesi prima di morire in un documentario girato dal regista Giuseppe Laganà. Lilian, come molte altre ragazze sue connazionali, era stata comprata dai suoi aguzzini che l’avevano fatta arrivare in Italia dalla Nigeria. Era stata a Milano, a Crema e poi, dopo un aborto illegale che le aveva provocato emorragie continue, era arrivata in Val Vibrata, chiusa, dice l’accusa, in casa di quelli che sono finiti a processo. Di quelli che, ripete Mancini, non l’hanno aiutata. Sono stati condannati per morte come conseguenza di altro reato, oltre che di riduzione in schiavitù e favoreggiamento della prostituzione. Per Victoria Ofiebe la sentenza più pesante: 15 anni e 6 mesi. Per l’accusa è lei che l’avrebbe ospitata. Evans Aimerohe è stato condannato a 12 anni, mentre Rose Mary Damisah a 9 anni. Per tutti la sospensione della potestà genitoriale. Quattro anni ciascuno a Edith Aiyuduebie e Evans Aiwekhoe. Assolto il tassista Gino Schiavoni, unico teramano del gruppo, accusato di favoreggiamento per aver portato alcune ragazze sulla Bonifica. Il collegio difensivo (composto dagli avvocatiFelice Franchi, Maria Chiaria Bianchi, Francesco Silvestri, Odette Frattarelli e Umberto Gramenzi),in attesa di conoscere le motivazioni della sentenza annuncia ricorso in appello.
I giudici della Corte d’Assise (presidente Roberto Veneziano, a latere Carlo Saverio Ferraro) hanno riconosciuto una provvisionale di 15mila mira all’associazione On The Road.
«La scienza ci dice che se fosse stata curata», ha detto in aula il consulente medico del pm, «avrebbe avuto una buona probabilità di sopravvivenza». Ma la vita, anche e soprattutto quei pezzi di vita che finiscono nei processi, è molto più complicata della scienza. La vita non è ordinata e non risponde alla nostre regole. Nella vita ci sono i colpi di fortuna e le disgrazie: si vince al Superenalotto e si muore a 23 anni perchè sei nigeriana, fai la prostituta e se sei malata non ti fanno curare perchè devi lavorare sulla strada per guadagnare i soldi da dare a chi ti tiene in ostaggio. Tutto il resto sono solo vuote parole.
http://ilcentro.gelocal.it/teramo/cronaca/2013/04/16/news/fatta-prostituire-col-cancro-cinque-condanne-a-teramo-per-la-vicenda-del-film-schiavi-1.6894290