Rapine violente: presi due immigrati

23-06-2012

Genova – Ora che il «piccoletto», Alfred Meci, e lo «spilungone», Eglisen Tola, sono in trappola e il «capo banda» è braccato assieme al «palo», l’ispettore di polizia può lasciarsi andare a sospiro di sollievo e ammettere che «sì, i rapinatori delle ville responsabili dei colpi a Chiavari e a Genova erano davvero pericolosi. Predoni albanesi – dice proprio così – pronti a tutto, capaci di tutto, anche di uccidere. Senza scrupoli».
Formalmente a questa “batteria” criminale vengono per il momento addebitati due episodi: quello di martedì in frazione Case Sparse, periferia chiavarese, e quello dell’altra notte, a Leivi, nell’immediato entroterra del Levante. Ma il sospetto, pesante, è che anche gli assalti alle ville di Genova, in particolare a Morego, a Rivarolo, a Granarolo, Molassana e Pontedecimo, siano opera degli stessi quattro «predoni»: Alfred Meci ed Eglisen Tola, 23 e 24 anni, eppoi il «capo e il palo, riusciti per il momento a dileguarsi, ma comunque attivamente ricercati – spiegano il vicequestore Fausto Lamparelli, dirigente della squadra mobile, e il maggiore Oreste Gargano, comandante del nucleo investigativo – e di fatto già identificati». Come a dire: la caccia prosegue. E non si fermerà fino a quanto tutti i rapinatori non saranno dietro le sbarre. E poco importa, ai poliziotti del commissariato di Chiavari, ai carabinieri della compagnia locale, agli investigatori genovesi e ai militari del comando provinciale se le ricerche sono iniziate l’altra notte alle 23.30. A quell’ora Paolo Pulvirenti, 64 anni, riesce a liberarsi e, assieme alla moglie Ivana, 62 anni, a dare l’allarme. L’uomo, abitante in una lussuosa villa di via dei Boschi, a Leivi, telefona al “113”: «Tre rapinatori hanno fatto irruzione nella nostra abitazione e ci hanno tenuto in ostaggio per oltre un’ora e mezza. Poi sono fuggiti con soldi, gioielli e un computer», dice all’operatore della centrale. L’ennesimo colpo della banda, non vi erano dubbi, e i particolari lo avrebbero confermato: uno alto e due più piccoletti, i guanti alle mani, i bastoni. Non l’intenzione di fare male, ma tanta spregiudicatezza e nessuna paura dei cani da guardia.
Il poliziotto in pochi minuti avverte tutti. Ma proprio tutti: squadra mobile, Investigativa del distretto, volanti, nucleo provinciale, operativi dei carabinieri e militari del Radiomobile e delle stazioni. Da Villanova d’Albenga decolla pure un elicottero dotato di visori notturni. Un’unica segnalazione: «Tre uomini, forse quattro, in fuga a piedi. Presumibilmente armati (mazze e bastoni in verità, ndr) e certamente pericolosi». Quasi quattro ore di ricerche, poi la svolta: alle 3 una pattuglia della stazione carabinieri di Zoagli, guidata dal luogotenente Luigi Fortunati, incrocia i banditi in località San Terenziano, a pochi chilometri da Chiavari. I rapinatori procedono nella notte lungo la strada provinciale e alla vista dell’auto scappano. Uno sale verso monte, gli altri due si gettano a valle, sul lungotorrente Rupinaro. È un canneto impenetrabile, una foresta di aculei: uno dei predoni riesce a dileguarsi, l’altro, Alfred Meci, s’acquatta e spera di passare inosservato.Lo scovano gli agenti della squadra investigativa e la sua reazione è inutile. Manette ai polsi e via, in tutta fretta al distretto. Ma non è finita: mentre il giovane albanese viene identificato, posto in stato di arresto e trasferito nel carcere di Chiavari, le ricerche dei complici proseguono. E poco dopo le 16.15 un altro straniero cade nella rete. Lo snidano i poliziotti in via Generale Franceschi, alla periferia chiavarese: è grosso e violento. Aggredisce gli investigatori, fugge. Per fermarlo, l’ispettore Ezio Pongiluppi, pure lui ben piazzato, deve placcarlo in perfetto stile rugbystico. Eglisan Tola è il secondo predone in trappola. E lui, così alto, assieme al compare Alfred, minuto, sono pure la prova vivente che serve agli uomini della squadra mobile genovese e ai carabinieri di San Giuliano per affermare che la gang intercettata nel Tigullio è la stessa responsabile di tutti i colpi registrati nel capoluogo dall’inizio di maggio. Le vittime, infatti, hanno ugualmente descritto due dei componenti la banda: «Uno spilungone e un piccoletto».
Mancano all’appello il capo e il “palo”, ma hanno le ore contate: gli inquirenti li cercano negli ospedali (uno potrebbe essersi ferito nel canneto lungo il Rupinaro), nelle stazioni ferroviarie, nei casolari abbandonati di tutta la provincia. Sono braccati e privi di tutto: la refurtiva degli ultimi due colpi è stata recuperata ieri nel corso di un’operazione congiunta tra forze dell’ordine come non se ne vedevano da tempo in tutta la regione. Una caccia serrata, l’unica strategia buona per fermare, una volta per tutte, i «predoni albanesi».

http://www.ilsecoloxix.it/p/levante/2012/06/23/AP4eScmC-rapine_banditi_trappola.shtml#axzz1ycF9Zjda

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