La distruzione della società

13-05-2012

Nella tarda serata dell’8 maggio si è verificato a Perugia un episodio gravissimo che ha sconvolto i cittadini e le persone del luogo presenti durante l’accaduto. Il corso del centro storico, a causa di una rissa fra bande (tunisini contro albanesi, a quanto pare), è stato completamente devastato: sono state assaltate macchine della Polizia e della Guardia di Finanza, i cestini rovesciati, i tavoli lanciati, e sono stati sparati diversi colpi da una scacciacani. L’apice è stato raggiunto nel momento in cui un tunisino è stato accoltellato all’addome da un gruppo di albanesi, sotto gli occhi sconvolti dei presenti, provocando la reazione dei tunisini che cominceranno ad assaltare tutte le vetrine dei negozi alla ricerca degli albanesi aggressori. Una guerra tra pusher, un regolamento di conti in piena regola dinnanzi agli occhi spaventati dei passanti, proprio di fronte a Palazzo dei Priori, sede quattrocentesca del Comune e alla Cattedrale di San Lorenzo, simbolo della città assieme alla fontana Maggiore.
E’ solamente la goccia che fa traboccare il vaso. La situazione a Perugia è drammatica: spacciatori e tossici la fanno ormai da padroni in diverse arterie della città. Non è certo una situazione legata solamente al capoluogo umbro, ma si tratta di eventi all’ordine del giorno in tutto il Paese (con picchi nelle città più grandi, dove accoltellamenti e risse sono una consuetudine). Il fenomeno, è inutile e ipocrita negarlo, è strettamente legato a quello dell’immigrazione clandestina, che porta una quantità ingente di persone senza lavoro, spesso senza famiglia, senza nulla da perdere, nella quotidianità della vita in un Paese non proprio, e spesso in una “cultura sociale” totalmente differente. Basti pensare, come riportava il Corriere della Sera nel 2009, che, stando ai dati di 3 anni fa, un carcerato su 3 in Italia è straniero (su 65.000 più di 20.000 detenuti già allora erano extracomunitari). Nello stesso articolo vengono poi riportate le parole di Donato Capece, segretario generale del Sappe, il sindacato autonomo della Polizia Penitenziaria: «Si deve incrementare il grado di attuazione della norma che prevede l’applicazione della misura alternativa dell’espulsione per i detenuti stranieri i quali debbano scontare una pena, anche residua, inferiore ai due anni; potere che la legge affida alla magistratura di sorveglianza.
I dati – prosegue Capece – evidenziano un boom di detenuti stranieri nelle carceri italiane. Si stratta di numeri incontrovertibili». «Oggi abbiamo in Italia 65.000 detenuti: ben 24mila (il 37% del totale) sono stranieri: 4.333 sono i comunitari detenuti (3.953 gli uomini e 380 donne) mentre quelli extracomunitari sono ben 19.666 (18.827 uomini e 839 donne)»[1]. Un tema dunque che va a ricollegarsi anche a quello, caldissimo, del sovraffollamento delle carceri. Vengono qui per trovare lavoro e fortuna (sempre che non partano con cattive intenzioni), ma in molti casi (non tutti ovviamente) finiscono per trovare nulla d’altro che disoccupazione e disperazione. E’ così che il fenomeno dello spaccio, non certo gestito totalmente e autonomamente da costoro, che al contrario spesso potrebbero essere marionette al servizio di ben altri loschi affari, si propaga lungo il suolo nazionale, mettendo a rischio l’incolumità delle persone, dei cittadini, dei passanti, di chiunque si trovi sfortunatamente ad entrare in contatto con queste “gang”. Il terrore in alcune ore della giornata dilaga e le risposte tardano a venire da chi dovrebbe fornirle, giocando con la pazienza dei cittadini.
Dal punto di vista politico il fenomeno dell’immigrazione non è mai stato affrontato seriamente, soprattutto dalla sinistra italiana, poiché ritenuto un tabù, un pantano che si pensa possa sempre scadere nel becero razzismo, pantano su cui dunque si preferisce non muoversi. Così dalla politica non arrivano risposte, e lo Stato, che dovrebbe tutelare la propria società civile, i propri cittadini onesti, appare sempre più lontano, una massa sempre più indefinita e indistinta, identificata per lo più con la casta burocratica che ne è rappresentante. Chi per anni non ha voluto affrontare il problema delle frontiere e della legalità è colpevole; e lo è altrettanto chi, acquistando stupefacenti, continua a finanziare i vari racket. Senza domanda – infatti – non ci sarebbe offerta. Che fare dunque? I cittadini sono sempre più isolati, ed ai problemi quotidiani che essi devono affrontare non sembra pensare nessun altro, i cittadini sono soli. Il problema è un problema politico, ma è anche sociale.
Dal punto di vista politico innanzitutto va affrontato una volta per tutte il tema dell’immigrazione, senza inutili perbenismi e allo stesso tempo senza scadere nel qualunquismo e nel becero razzismo. Vanno effettuati controlli a tappeto, chi non è regolare o chi viene trovato in possesso di sostanze stupefacenti, chi si macchia di altri reati contro il patrimonio o la comunità, va fermato dalle autorità e rispedito a casa; i guanti di velluto non ci hanno portato da nessuna parte, e ormai la situazione sta generando. Le frontiere in entrata vanno controllate costantemente. Gli immigrati onesti che vengono in Italia e in Europa per costruire una vita onesta devono essere da esempio, devono costituire l’unico tipo di immigrato che lo Stato italiano può tollerare. Non si può consentire un “doppio diritto penale”, una separazione di trattamento tra cittadini italiani e cittadini stranieri.
Dal punto di vista sociale bisogna riattivare la società civile, bisogna promuovere campagne di sensibilizzazione contro la droga, contro il consumo, e se necessario recuperare i consumatori, attraverso progetti costruttivi di reintegrazione e disintossicazione. Ma quello della sicurezza rimane un tabù, o semplicemente finisce nel dimenticatoio, per la maggior parte delle forze politiche. In altri casi viene affrontato in modo demagogico e qualunquista, senza porre seri rimedi. In Europa le forze politiche che affrontano il tema della sicurezza, in qualsiasi salsa (legalitaria, razzista, qualunquista, xenofoba) vengono comunque premiate dall’elettorato, e questo dimostra come il tema sia sempre più caldo e come i cittadini dei Paesi europei comincino a divenire insofferenti, rischiando spesso di cadere in risposte fallimentari. La mancanza di sicurezza, inoltre, è dovuta in gran parte anche alla latitanza dello Stato come istituzione politica, sociale ed economica, una latitanza oramai sempre più voluta e cercata. Dove non c’è lo Stato, cioè la “cosa pubblica”, non ci può essere né sicurezza né giustizia sociale.
E non parlare di questi temi, strettamente interconnessi, è impensabile per una forza politica che voglia andare oltre gli schemi finora attuati, e ormai logori. Serve una forza politica che sappia parlare alla gente, che sappia recuperare il concetto di “comunità”, reinterpretandolo e incastonandolo nell’epoca attuale. Il patto fra la società civile e lo Stato, già lo diceva Thomas Hobbes ai suoi tempi, deriva da un riconoscimento della sovranità dello Stato da parte dei cittadini, in cambio di alcune garanzie irrinunciabili, fra le quali quella dell’incolumità e del diritto alla sopravvivenza. E’ su questo che la politica si fonda, ed è su questo che si sta sgretolando. Sta venendo meno lo Stato, sta venendo meno il patto, e si rischia di piombare nel caos di un’anarchia istituzionale, di una “deregulation antropologica” (ne sono un esempio il discredito di cui godono le istituzioni presso le generazioni più giovani) e di un’anomia sociale. Tale trend negativo pare essere una costante in tutti gli Stati occidentali (ma non solo), che hanno fatto dei diritti umani e della libertà, concetti astratti ma allo stesso tempo superiori a qualsiasi concetto socialmente concreto. Il cittadino è sempre più “libero”, nel concetto ambiguo di libertà che l’Occidente ci propugna tutti i giorni, ma è sempre più solo, e allo stesso tempo è sempre più una “pedina libera”, una marionetta che non vede i fili a cui è legata mentre balla e scorrazza. E’ necessario invertire la tendenza, e per farlo è innanzitutto necessario cambiare la classe politica, recuperare il concetto di Stato, a cui tutti gli altri temi sono inevitabilmente legati, anche quello della sicurezza.

Fonte: http://www.statopotenza.eu/3633/la-distruzione-della-societa#.T6-IIkfOw80.facebook

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