Gli immigrati “rubano” il lavoro fisso agli Italiani

14-02-2012

Secondo il rapporto sulla coesione sociale realizzato dall’Inps, dal ministero del Lavoro e dall’Istat, nella prima metà del 2011 solo il 19% dei nuovi assunti ha un contratto a tempo indeterminato. “Il 67,7% delle assunzioni – si legge nello studio pubblicato oggi – è stato formalizzato con contratti a tempo determinato, il 19% con contratti a tempo indeterminato e l’8,6% con contratti di collaborazione”. La sinistra si indigna, i sindacati si infuriano e la riforma del mercato del lavoro rischia di naufragare nell’ideologia rossa. Il presidente del Consiglio Mario Monti e il titolare del Viminale Anna Maria Cancellieri hanno invitato i giovani lavoratori a cambiare modo di pensare, a non fare del posto fosso un vero e proprio totem e a muoversi per crescere nel mercato del lavoro. Un mercato che in Italia risente dell’immobilismo dettato da normative vetuste e antiliberali. Il governo è stato subito condannato dai sindacati, strenui difensori dello status quo. Eppure i dati dimostrano che il lavoro c’è, ma che in un momento di crisi economica come quello che sta vivendo l’Europa ha bisogno di flessibilità. Non solo nel contratto.

Secondo l’analisi della fondazione Leone Moressa, la precarietà sfiora soltanto gli stranieri che sono inquadrati con contratti più stabili rispetto ai coetanei italiani: lavorano di più ma sono pagati di meno. Gli extracomunitari “sono disposti a lavorare in orari più disagiati (specie di sera), svolgono mansioni non adeguate al proprio titolo di studio (sono cioè sottoinquadrati), in prevalenza operai, e se disoccupati trovano lavoro prima”. Diamo un’occhiata alle percentuali: il 44,5% dei giovani stranieri è occupato e il 17,2% disoccupato contro, rispettivamente, il 32,5% e il 20,4% degli italiani. Per quanto riguarda la struttura occupazionale, gli stranieri sono inquadrati più degli italiani con contratti di lavoro stabili: ogni cento stranieri occupati, solo 26 hanno un contratto di lavoro atipico (a tempo determinato o di collaborazione), 33 per gli italiani. Insomma, il contratto a tempo indeterminato è più frequente tra gli stranieri: 64% contro il 53,3%.

Secondo la fondazione, “la necessità di avere un lavoro per rinnovare il permesso di soggiorno, la mancanza di sostegno da parte della rete parentale e il disagio economico portano i giovani stranieri ad affacciarsi prima degli italiani nel mercato del lavoro, accettando stipendi più bassi ma sicuri, mansioni meno qualificate e lavori in orari anche disagiati”. Gli stranieri sono per oltre l’80% operai e guadagnano 939 euro netti al mese, circa 70 in meno rispetto agli italiani. E ancora: il 64,4% ha professioni di media specializzazione e il 30% ha professioni non qualificate. Gli immigrati mostrano, infatti, un livello di scolarizzazione più basso, ma rimangono comunque senza lavoro molto meno rispetto agli italiani. In linea generale, insomma, la fondazione Leone Moressa assicura che gli immigrati possono “contare su contratti più stabili, soddisfacendo ad una domanda di lavoro dal basso profilo che continua ad essere espressa dal sistema produttivo, economico e sociale”.

http://www.ilgiornale.it/economia/il_posto_fisso_ce_hanno_giovani_stranieri/immigrazione-articolo_18-lavoro-posto_fisso-giovani/14-02-2012/articolo-id=572119-page=0-comments=1

[stextbox id=”info” color=”000000″ bcolor=”000000″ bgcolor=”fcced9″]Accantoniamo le “analisi” della Fondazione Moressa, elucubrazioni che girano intorno al problema senza volerlo individuare. Guardiamo ai dati nudi.

Sono l’ennesima dimostrazione di come gli immigrati rendano il mercato del lavoro “off-limits” per i giovani italiani.
Il loro “adattarsi” a condizioni di lavoro semi-schiavili, degrada il tessuto produttivo e, rende, la manodopera italiana non competitiva, spingend i nostri giovani fuori dal mercato del lavoro. Tutto questo i Sindacati non lo dicono ma lo sanno. E se ne fregano.
Immaginate di essere un imprenditore senza scrupoli e di fregarvene della società che vi corconda, chi assumereste, un immigrato sottopagato e disposto a lavorare in condizioni oltre ogni norma, o un Italiano che esige condizioni “normali”?
Un altro aspetto è quello delle condizioni abitative: essendo disposti a vivere in dieci in una stanza, gli immigrati possono accettare stipendi più bassi, agendo da fattore degradante nel tessuto delle assunzioni.

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