Il racconto dell’aggressione: “Sotto casa, davanti all’ascensore, poi ho urlato… Se lo rivedessi lo riconoscerei senza dubbi”. Tra sabato e domenica, tre casi in 24 ore, indaga la polizia
BOLOGNA – “Sono arrabbiata e voglio che quell’uomo sia preso e punito. Ma non lascerò che quello che ha fatto mi rovini la vita, mi condizioni. Ci sto riuscendo. Sono tornata a casa, a piedi, di notte. E senza guardarmi continuamente alle spalle. Spero che anche le altre ragazze vittime di abusi non permettano che un uomo violento cambi le loro esistenze”. B. è una delle tre giovani donne abbordate, palpeggiate, umiliate e ferite da uno sconosciuto, forse la stessa persona, forse due soggetti diversi. Ha ventun anni e grinta da vendere, lavora part time in un locale pubblico della zona universitaria e studia alla facoltà di Psicologia e scienze della formazione, non si sottrae alle domande.
Bisogna raccontarle, queste cose, o tacerle per non creare allarme e non spaventare?
“Secondo me di questi reati si deve dare notizia, sempre. Serve non a condizionare gli stili di vita, ma a far tenere gli occhi aperti e prendere qualche precauzione”.
Come è andata, nel suo caso?
“Un mese fa questo ragazzo, uno straniero, biondo, ha tentato di abbordare me e mia cugina in un locale di piazza Verdi. Non gli abbiamo dato corda. Lui mi ha riconosciuta. Mi ha detto che sapeva dove lavoro. A fine dicembre, il 28, ce lo siamo trovato davanti in una discoteca del centro. Di nuovo ha tentato di agganciarci, e l’abbiamo respinto. Venerdì sera era nel locale in cui faccio la barista. Mi sono ricordata che ero lo stesso dei due approcci di dicembre. Pensavo fosse finita lì”.
E invece?
“Chiuso il locale, ormai era sabato, mi sono fermata a bere una birra con alcuni colleghi e mia cugina. Poi ho accompagnato lei a casa, a piedi. Ho rivisto questo ragazzo, immagino ci abbia seguito, quando siamo arrivate a destinazione. Non ci ho badato più di tanto. Mi sono incamminata verso la mia abitazione, in via San Felice. Come faccio abitualmente a fine turno, senza problemi”.
E qui, a notte fonda, si è materializzato quello che per una donna è il peggiore incubo. Sentire passi alle spalle. Essere pedinata, aggredita, violata…
“In via San Felice ho avuto come l’impressione di essere seguita. Ma ho anche pensato che, nonostante l’ora, potesse essere una persona normale, come me. Succede. Comunque ho attraversato la strada, per vedere se avessi qualcuno dietro, ma senza paura. Questo ragazzo, che ancora non avevo visto in faccia, ha fatto lo stesso. Mi sono bloccata alla fermata del bus, lui idem. Gli sguardi si sono incrociati e l’ho riconosciuto. Però non ho pensato male, perché lui sembrava tranquillo. Sotto casa, un edificio a sei piani, ho tirato fuori le chiavi per aprire il portone. Lui ha fatto finta di telefonare col cellulare. Sono entrata nell’androne, è entrato anche lui. Ho chiamato l’ascensore e, come faccio di solito, mi sono seduta sulle scale in attesa della cabina, in discesa dal sesto pianto. Lui ha salito i gradini, convinto che andassi di sopra a piedi, e poi è tornato indietro, verso di me”.
E qui la paura deve essere arrivata. O no?
“Lui non parlava, io non sapevo che cosa fare. E la paura è arrivata. Quando ho aperto la porta dell’ascensore, mi si è fiondato addosso. Mi ha preso la faccia con le mani, per baciarmi. L’ho respinto. E lui mi ha infilato le mani nelle mutande, cercando di abbassarmi i pantaloni. Mi ha trascinata a terra, facendomi cadere, e mi ha tirato un pugno in faccia. Poi mi ha messo due dita in gola e mi ha tagliato la lingua. Sono riuscita lo stesso a gridare. Mia mamma ha sentito le urla. Il ragazzo è scappato, io sono salita in casa con il viso imbrattato di sangue. Mia madre mi ha convinta a chiamare subito la polizia”.
Lei sembra aver reagito con grinta e coraggio. Come sta, fisicamente?
“Al pronto soccorso mi hanno medicata e mi hanno dato dieci giorni di prognosi. Non è niente di grave, sto bene. Non mi sono messa in malattia, vado tranquillamente a lavorare. Continuerò a studiare, a muovermi a piedi. Non ho intenzione, lo ripeto, di farmi rovinare e condizionare la vita da quest’uomo. Non l’avrà vinta lui”.
Ha saputo delle altre due ragazze aggredite, nella stessa zona, in un arco di tempo brevissimo?
“Sì, ma non so dire se il molestatore sia lo stesso per tutte. La polizia mi risentirà a breve per provare a disegnare un identikit. Il particolare degli stivaletti bassi e scuri, da loro notato, io non l’ho colto. Il mio aggressore parla italiano, con un marcato accento straniero. Dimostra 25-30 anni, come quello delle due ragazze. Se lo rivedessi, non ho dubbi, lo riconoscerei”.
http://bologna.repubblica.it/cronaca/2014/01/15/news/infuriata_e_ferita_ma_non_cedo_alla_paura_parla_la_ragazza_aggredita_in_via_san_felice-75943514/