‘Nomadi’ distruggono auto giornalista: “E ora ti stupriamo”

25-11-2014

La troupe di Piazza Pulita va a riprendere il campo rom di Via Salviati e i nomadi gli devastano la macchina a sprangate, minacciano di morte e di violenza sessuale. Liberiamo la città da questa violenza e da questa mafia

24 novembre 2014
«Le mie domande non sono piaciute, soprattutto quelle relative ai rifiuti e alla presenza di tutto quel ferro. Mi hanno consigliato di andarmene, di “stare attenta”. Qualcuno mi ha anche urlato in faccia: “Il servizio te lo faccio a letto”». La voce che racconta è ferma e decisa, non tradisce alcun pentimento. La paura per quello che poteva succedere, però, Francesca Mannocchi, giornalista del programma tv «Piazza Pulita», condotto da Corrado Formigli in prima serata su LA7, l’ha sentita tutta quando un tubo di ferro, lanciato con violenza da un gruppo di rom contro l’auto con dentro la troupe, ha fatto esplodere il lunotto. Il rumore dei vetri rotti e le schegge, che sono arrivate dappertutto, hanno spezzato il silenzio della notte e bloccato le riprese. Poi la corsa in auto per sottrarsi ad altre ritorsioni.
 
Francesca cosa è successo l’altra sera al campo nomadi di via Salviati, nel quartiere romano di Tor Sapienza?
«Dopo aver fatto alcune ore di riprese tra il campo nomadi di via di Salone e l’esterno di via Salviati, con il buio siamo ritornati per capire cosa succede con i roghi tossici e per documentare, se possibile, l’arrivo di tutta quella spazzatura che circonda le roulotte. La mia troupe e io eravamo fermi in auto e l’operatore aveva la telecamera puntata verso l’ingresso del campo. Ad un tratto un gruppo di ragazzi è uscito dall’area con in mano dei tubi di piombo che hanno lanciato verso di noi. È stato un attimo. Abbiamo sentito il rumore sordo e i vetri in frantumi, che hanno colpito anche l’operatore».
 
Poi cosa è accaduto?
«Siamo subito scappati temendo il peggio. I vetri rotti sono arrivati fino al sedile anteriore in cui ero seduta. In quel momento mi sono spaventata. Per fortuna l’operatore sta bene ed è riuscito a riprendere tutta la scena. Nelle immagini, infatti, si vede un gruppo di ragazzi che entra nel campo e ne esce con il tubo di ferro in mano. Poi lo hanno lanciato verso di noi, puntando l’operatore seduto sui sedili posteriori dell’auto con la telecamera accesa».
 
Perché questa reazione violenta? Vi siete dati una spiegazione?
«Sicuramente dipende dalle domande scomode, che non sono piaciute agli abitanti dei campi. Già il giorno precedente avevamo fatto una visita in via di Salone e abbiamo subito una prima rappresaglia. Avevamo lasciato l’attrezzatura in auto per fare prima un giro di ricognizione. Al nostro ritorno abbiamo trovato il vetro spaccato e il materiale per lavorare scomparso».
 
Il giorno dopo però siete tornati e avete riprovato?
«Si siamo ritornati in via di Salone e grazie ad alcuni degli abitanti che si sono dimostrati ben disposti a farci vedere le condizioni in cui vivono, abbiamo avuto accesso all’area. L’aria che si respirava, però, era pesante. Parallelamente a chi voleva mostrare lo stato di degrado che travolge questi posti, abbiamo incontrato persone che non hanno gradito la nostra visita e ci hanno invitato ad andare via. Qualcuno ci ha anche minacciato di morte, mentre altri mi hanno detto in faccia che il servizio me lo avrebbero fatto a letto?».
 
Ritieni di aver fatto domande scomode o aver ripreso qualcosa che non doveva essere visto?
«Sabato era il nostro secondo giorno di presenza durante il quale ci siamo sentiti dire che le domande fatte in precedenza non sono piaciute».
 
Che tipo di domande? Su cosa in particolare?
«In continuazione con il viaggio nelle periferie intrapreso dopo i fatti di Tor Sapienza, volevamo capire se le lamentele dei cittadini corrispondono alla verità. E così abbiamo deciso di indagare sulla vita all’interno dei campi nomadi. Premetto che a via Salviati non siamo neanche potuti entrare. In via di Salone, invece, siamo riusciti a parlare con alcuni abitanti, che hanno voluto mostrarci le loro condizioni di disagio. A quanto ci hanno riferito il giorno dopo, però, le domande sulla provenienza di tutta quella spazzatura, su quelle quantità di ferro e rame presenti tra le roulotte e sulla natura dei roghi tossici non sono state gradite. Durante la nostra visita, comunque, l’aria era pesante. Si capiva che qualcosa non andava e che la maggior parte dei rom non era felice di averci tra i piedi».
 
Che cosa hai visto nel tuo viaggio all’interno e all’esterno di due dei più grandi campi nomadi di Roma?
«Sicuramente una situazione di degrado e abbandono. La vita delle persone oneste è pregiudicata dai comportamenti dei disonesti. Sono zone fuori controllo. I bambini non vanno a scuola anche se il pulmino passa tutte le mattine. Le telecamere di sicurezza sono rotte e il gabbiotto dei custodi è vuoto. Ci siamo trovati davanti anche ad uno dei tanti roghi tossici. In questi posti, in alcuni casi anche le forze del’ordine faticano ad entrare».
 
Cosa ti ha colpito in particolare?
«Abbiamo chiesto a questa gente come vive e dove prendono i soldi, perchè ho visto una quantità di vestiti nuovi con tanto di etichette. Poi ho visto pile di elettrodomestici di dubbia provenienza. Evidentemente, però, queste domande sono state ritenute fuori luogo o pericolose».
Francesca Musacchio per il Tempo

 

Crimini Immigrati, Roma

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