La mamma che ha pestato lo spacciatore marocchino

06-04-2014

VILLAFRANCA (PADOVA) – Ad aprire la porta di casa è una donna minuta e dal viso solare. Caterina P., 49 anni, di Villafranca, ci tiene a precisare che lei non è irascibile di carattere, «ma quando al telefono ho sentito mio figlio quindicenne piangere raccontandomi quello che gli era successo, non ci ho pensato due volte».

La donna era in auto in Sarpi, c’era una coda: ha girato la macchina e raggiunto piazza Mazzini, poi via Giotto, dove ha recuperato il figlio e l’amico. È da qui che è iniziata la “caccia”.

«Nella tasca del giubbotto strappato a mio figlio c’erano cellulare, documenti e chiavi di casa – racconta Caterina, impiegata in una banca cittadina e mamma di tre maschi – Non ho pensato al rischio che correvo, lo so che certe persone girano con il coltello, ma io rivolevo tutto indietro».

Ricorda quel messaggio ricevuto sul cellulare, quando, finito di lavorare, era in macchina: «”Mamma è urgente”, ha scritto mio figlio, “mi richiami subito a questo numero”». Il ragazzino era appena stato rapinato e la messaggiava con il cellulare dell’amico, perchè il suo gli era stato portato via con il giubbotto.

«L’ho chiamato subito, e pensare che volevo rimproverarlo per ricordargli quali sono le urgenze vere – racconta Caterina – . Ma quando mi ha detto cos’era successo sono accorsa da lui e dall’amico e li ho fatti salire in auto. La giacca di mio figlio è verde fosforescente, molto riconoscibile. Davanti al Carmine ho incontrato due vigili, mi hanno detto di fare denuncia alla polfer: ho pensato che così la giacca non l’avrei più rivista. Allora ho parcheggiato in via Giotto – racconta – e abbiamo continuato la ricerca a piedi: io e mio figlio verso i giardini, l’amico verso la stazione».

Ed è nella piazzetta di via Trieste che l’amichetto ha visto il marocchino, con “quella” giacca. Ha chiamato Caterina che a piedi, nonostante le scarpe con il tacco, si è messa a correre, ha raggiunto il marocchino e lo ha afferrato per il cappuccio.

«Gli ho detto che non doveva permettersi di toccare mio figlio – continua la donna – gli ho fatto svuotare le tasche del nostro giubbotto, ma mancava il cellulare. Il marocchino aveva invece una boccetta di metadone, che gli ho preso: mi diceva di ridargliela perchè che era la sua cura, ma io volevo che saltasse fuori il cellulare di mio figlio. Allora lui mi ha strattonata per la sciarpa, ed è stato a quel punto che gli ho tirato un pugno sulla faccia, con la mano sinistra, perché con l’altra lo tenevo fermo. Gli ho dato anche un ceffone. Attorno a me c’erano altri sette nord africani che gli dicevano di tirare fuori quello che cercavo, ma nessun si è avvicinato per aiutarmi. Ho mollato la presa solo quando sono arrivati i carabinieri. Mi hanno detto che ho rischiato perché in tasca aveva una siringa usata – conclude Caterina – ma in quel momento mi sono sentita madre di mio figlio e ho agito così».

http://www.gazzettino.it/NORDEST/PADOVA/padova_mamma_coraggio_picchia_rapinatore_figlio/notizie/618079.shtml

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