L’Eco di Bergamo ieri riportava un fatto di cronaca: una coppia di quarantenni residenti a Caravaggio (lui albanese, la moglie di Varese) è stata fermata qualche passo dopo le casse del supermercato Pellicano di Treviglio con circa duecento euro di merce infagottata nei vestiti e nelle borse. I coniugi fermati sono poveri, anzi miserabili, senza lavoro e con cinque figli piccoli da mantenere. Sono dunque stati costretti a rubare per sopravvivere e campare la famiglia. La polizia, dopo l’identificazione, li ha indagati in stato di libertà e subito rilasciati. segnalati. Uno scenario davvero drammatico. Più ci pensiamo, più non troviamo una soluzione. In effetti, una soluzione ci sarebbe, l’abbiamo accennato all’inizio: ci vorrebbe un giudice che si assume l’ingrata responsabilità di stabilire se il furto è stato effettivamente determinato da stato di necessità oppure no. E che decide, in coscienza, se per quel povero costretto a rubare è meglio il perdono (perché questo, di fatto, è il rilascio immediato) oppure un castigo, sia pure comprensivo delle attenuanti, affinché non si equivochi sul fatto che un furto rimane un furto, e che la spesa al supermercato si deve fare con i soldi guadagnati lavorando, come tutti. Così, non ci sarebbe l’automatismo della liberazione che renderebbe sostanzialmente legali quei furti. I dilemmi morali più grandi si nascondono nelle piccole vicende di provincia. Ci vuole coraggio per giudicare al tempo della crisi ma non si può rinunciare, una società non si regge sulla buona coscienza.
http://mentiinformatiche.com/2013/03/follia-chi-e-povero-e-ruba-non-finisce-in-cella.html
Quindi se avete un negozio e una bella famigliola di Zingari, di immigrati o con una di quelle coppie miste tipicamente disadattate viene a fare una spesa “proletaria”, non chiamate la polizia, perché loro se ne fregano.
E pensare che un tempo li chiamavano “risorse”. Il problema della società moderna è che non c’è alcuna barriera alla prolificità dell’incapace: prima, quando chi si comportava da stupido ne pagava le conseguenze, certi individui non avrebbero fatto “cinque figli” senza poterli mantenere: le condizioni glielo avrebbero impedito. Ma oggi, viviamo nella società del “cuculo”, dove uno fa cinque figli, e tutti gli altri glieli mantengono attraverso un cattiva applicazione del welfare. E’ la società ottimamente dipinta nel film “Idiocracy”.
Ci sono tre tipi di poveri: quelli per casi della vita, che devono essere aiutati a tornare autosufficienti, in una comunità degna di questo nome; ci sono poi quelli che profittano della stupidità degli altri per farsi mantenere – tipicamente gli zingari – e questi vanno puniti e non mantenuti; e poi ci sono gli immigrati, che possono essere del primo o del secondo tipo, ma di loro devono occuparsi i paesi di provenienza. Perché dovremmo mantenere noi, l’Albanese e i suoi cinque figli?
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