Perseguitata dall’immigrato: storia di una Xenofila

04-06-2012

Articolo penoso del Corriere.  Sia per la storia in sé, sia per come è stata scritta.

E’ evidente nella storia la centralità dell’etnia del “persecutore”, ma il giornalista evita di comunicarla al lettore.
E’ vero, scrive “francese”, ma l’idea che lo straniero possa essere Francese è smentita durante la prosecuzione del pezzo, quando dice: “la voglia di avere un figlio da me per riuscire ad avere la cittadinanza italiana“, è evidente che un delinquente francese non ne avrebbe alcun bisogno, infatti, come cittadino comunitario potrebbe già vivere indisturbato nel nostro Paese.
E allora, vien da sé che il “persecutore-spacciatore” non possa essere Francese, ma forse il francese è solo la sua lingua madre.
Insomma: vogliamo, signori pennivendoli, smetterla di nascondere la verità ai lettori?

LIVORNO – Le minacce arrivano a tutte le ore. Sms, telefonate. Numero riservato, ovviamente. Una delle ultime è terribile: «Se non posso vedere il bambino lo uccido», le fa sapere il suo ex con una voce che Sara, 33 anni, educatrice non dimenticherà mai. L’incubo dura da sette anni, pieni di guai, disperazione, solitudine, a volte voglia di farla finita. E non è il solo perché quel ragazzo francese gentile e premuroso, che aveva creduto il suo amore ed era diventato padre di suo figlio, altro non era che un pericoloso spacciatore con sospetti legami mafiosi e un gruppo di presunti complici. Ma perché Sara quei sospettati li ha denunciati, diventando collaboratrice di giustizia, e da allora è diventata un bersaglio doppio: stalking e vendetta.

«SONO DOVUTA FUGGIRE»– «Mi hanno minacciato armati di coltelli sotto casa, hanno terrorizzato mia madre e mio padre e continuano a farlo – racconta Sara –. Sono dovuta fuggire dal quartiere di Shanghay (un rione di Livorno ndr) dove mi era stata assegnata una casa popolare, ma mio figlio va a scuola con i parenti delle persone finite in carcere perché li ho riconosciute. Mi hanno detto che sono un’infame, che me la faranno pagare». E intanto il suo ex, oggi latitante, continua la sua lenta e ossessiva tortura. «Lo stalking è la cosa che sa fare meglio – racconta la donna –ma è bravo anche a picchiare le donne come me, a minacciarle, a toglierle tutta la capacità di reazione. Mi ha fatto credere che la mia vita non valeva niente e anche oggi, nei momenti di depressione, ho la sensazione di poter essere uccisa da un momento all’altro. Ho paura? Certo, ma soprattutto per mio figlio».

L’INCONTRO – La storia di Sara sembra irreale nella sua ingenuità. Siano nel 2004, lei ha 24 anni e studia all’università di Firenze. Ha una buona famiglia che la sostiene, la voglia di diventare una brava educatrice, bravi amici. La droga? «Non fumo, mai uno spinello – dice – il vizio mi ho lontano anni luce». Quando incontra il «ragazzo della sua vita» per la testa. Lo vede diverso, deciso e gentile, protettivo. Bastano pochi mesi per capire effettivamente chi è quell’uomo. Inizia ad avere i primi sospetti quando è incinta. Ha la forza di chiedergli che cosa fa tutto il giorno fuori di casa e lui la picchia con violenza, la minaccia di morte, non vuole che esca, è persino geloso. «Non è amore il suo – continua Sara – solo un desiderio di possesso e la voglia di avere un figlio da me per riuscire ad avere la cittadinanza italiana».

COLLABORATRICE DI GIUSTIZIA- A casa porta anche alcune persone, dice che sono parenti arrivati dalla Francia. Sono spacciatori che nascondono in casa droga e soldi riciclati. I carabinieri li pedinano da tempo, scatta il blitz. Li arrestano tutti, anche Sara. «E qui inizia la mia disavventura giudiziaria – racconta la donna –. Magistrati e investigatori capiscono che dietro quella droga ci sono legami forti, cosche mafiose probabilmente. Mi chiedono di collaborare e io accetto. Faccio i  nomi degli amici del mio compagno, riconosco alcune foto segnaletiche». Un lavoro prezioso che porterà, anni dopo, a un altro blitz. Siamo ad aprile di quest’anno e in carcere finiscono 56 persone, molte abitano nel quartiere dove Sara si è appena trasferita. Non è difficile per le famiglie e gli stessi arrestati, che poi escono di carcere per decorrenza dei termini di custodia cautelare, sapere chi è «l’infame». E inizia l’inferno quotidiano. «Il mio ex, che intanto è uscito di galera e poco dopo diventa latitante – racconta Sara – mi minaccia continuamente, le persone arrestate e i loro amici e familiari diventano il suo esercito. Sono disperata e trovo rifugio in un’altra parte della città, dove però ancora oggi sono minacciata».

«VIVO NEL TERRORE» –  Gli investigatori e la magistratura propongono alla giovane donna un programma di protezione. Deve lasciare la Toscana per trasferirsi in una località segreta ai confini con la Francia, non potrà più vedere i suoi cari (Sara ha un nuovo ragazzo, «stavolta è un bravo ragazzo», dice con il quale ha avuto un figlio) e dovrà vivere lei e i suoi bambini con 800 euro al mese. Rifiuta la protezione. E adesso? «Vivo nel terrore con i miei figli e il mio nuovo compagno, un bravo ragazzo per fortuna. Spero solo che qualcuno mi aiuti a difendere i miei figli».

http://www.corriere.it/cronache/12_giugno_04/livorno-stalking-sara-collaboratrice-giustizia-gasperetti_7c68b716-ae48-11e1-bd42-307990543816.shtml

Chi è causa del suo mal, pianga se stesso. Inutile chiedere aiuto a chi magari, sarebbe stato da lei definito “razzista”, se le avesse consigliato di non frequentare immigrati.

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